Attualità

La tragedia. Il neonato morto al Pertini e il sostegno di cui hanno bisogno le neomamme

Viviana Daloiso martedì 24 gennaio 2023

Una neomamma con il suo bambino in sala parto

Si chiama “rooming in” la pratica – promossa da ginecologi e pediatri e condivisa anche dall’Oms e dall’Unicef – che s’è via via affermata nei reparti degli ospedali e che consente alle neomamme di tenere da subito dopo il parto i propri neonati con sé in stanza, 24 ore su 24.

Il senso è azzerare il distacco tra madre e figlio (che si consuma, invece, quando il piccolo viene preso e riportato alla nursery), permettendo alla fase delicatissima dell’allattamento di decollare immediatamente, così da stimolare l’arrivo della montata lattea e abituare il piccolo ad attaccarsi al seno.

Se non fosse che non tutte le donne sono uguali, così come non lo sono tutte le gravidanze e i parti, e nemmeno tutte le montate lattee: non a caso nelle prime ore di maternità la presenza della figura dell’ostetrica accanto alla partoriente è fondamentale, oltre a quella del papà, e non tutte le donne accettano il “rooming in”. Si può arrivare esauste, al momento tanto atteso del parto. Si può avere un travaglio lunghissimo, e devastante dal punto di vista fisico e psicologico. Si può avere bisogno di tempo, dopo 9 mesi in cui la gravidanza s’è presa tutto della propria vita e del proprio corpo. E non è una colpa voler aspettare, ma un’esigenza umana e fisiologica che in ogni reparto di Ostetricia è (o dovrebbe essere) accolta, compresa, gestita.

Cosa non abbia funzionato, in quello dell’ospedale Pertini di Roma la notte tra il 7 e l’8 gennaio, è allora un mistero tutto da ricostruire. Lì una donna che ha appena dato alla luce il suo bel maschietto è alle prese, come tutte le altre, coi suoi primi giorni da mamma: ne sono trascorsi tre dal parto, ma non sono bastati a farle recuperare le forze, dopo un travaglio durato quasi 17 ore.

Il bimbo le viene messo accanto in stanza, nella culla apposita, quella in cui secondo le regole del “rooming in” di cui si diceva il neonato andrebbe sistemato sempre dopo l’allattamento (e soprattutto prima di dormire) proprio per evitare che possa rimanere schiacciato nel letto: un gesto previsto da un protocollo rigido, non semplicemente consigliato.

E che tuttavia, nel via vai di un reparto che a volte può essere molto affollato e a volte sguarnito di tutto il personale necessario, può sfuggire anche all’occhio dell’operatrice più attenta. Ecco allora che la mamma, 30 anni appena compiuti, si addormenta col suo piccolo accanto a lei. Quando riapre gli occhi – è passata da poco la mezzanotte, è proprio un’infermiera a vedere il suo corpo sopra quello del neonato e a scuoterla – si accorge che lui non respira più.

L’orrore è indicibile: nel reparto è il caos, un via vai di ostetriche, medici, altre mamme. A metà mattinata il caso è già finito sul tavolo della Procura di Roma, che apre un’inchiesta per omicidio colposo. Vengono acquisite le cartelle cliniche della donna e raccolte le prime testimonianze: il marito racconta che lei avrebbe chiesto più volte aiuto, dicendo alle ostetriche che era esausta, senza essere ascoltata; la Federazione degli ordini di ostetricia lamenta la mancanza di personale (ne servirebbe almeno il doppio, non solo al Pertini); il ministero della Salute chiede alla Regione una verifica immediata; gli esperti ricordano che esiste anche il “collasso neonatale improvviso”, una sindrome rarissima che colpisce i neonati nei primi giorni di vita e assomiglia al soffocamento.

I social invece si infiammano, con le donne critiche sulla pratica del “rooming in”, a loro avviso troppo spesso imposta invece che proposta. L’ospedale, per parte sua, rigetta «categoricamente» tutte le accuse: in una struttura dove si registrano quasi mille parti all’anno «alle pazienti viene assicurata un'adeguata presa in carico», scrive la direzione sanitaria. Ma non è un colpevole, quello da identificare: sarebbe ingiusto, oltre che inutile. L’autopsia sul corpicino del piccolo e le indagini serviranno a dire cosa è andato storto, in una delle Neonatologie di punta della Capitale, perché non accada un’altra volta. La morte di un neonato nel letto della sua mamma riapre il dibattito su quanto sia necessario prendere una donna per mano e accompagnarla dopo il parto. Non dare per scontato che ce la faccia da sola.