Attualità

L'analisi. L'Italia non sa applicare il "modello inglese"

Alberto Caprotti martedì 6 maggio 2014
​L'Inghilterra ce l’ha fatta. Da loro gli hooligans e il triste corollario di incidenti e violenza negli stadi provocati da orde barbariche nascoste dall’alibi del tifo, sono quasi un ricordo. Al punto che il nome di Margaret Thatcher è diventato sinonimo dell’unico modello vincente nella lotta contro gli ultras.Non del tutto a proposito in verità, visto che la “Lady di Ferro” cominciò la sua battaglia nell’ambito della legislazione penale nel 1985, dopo la tragedia dell’Heysel, ma furono i governi inglesi seguenti a trovare la chiave giusta per arginare il problema.Solo posti numerati, ordine, nessun tifoso in piedi, nessuna recinzione per consentire alle forze dell’ordine di intervenire (se necessario) senza trovarsi muri di folla impenetrabili davanti. E le curve trasformate in spalti esattamente uguali agli altri settori per evitare che diventino oasi intoccabili di illegalità. Questa è stata la svolta britannica. Ma prima di una rivoluzione architettonica, “estetica” e comportamentale del tifo, occorre vedere se l’Italia possiede la mentalità (e la volontà) sociale e culturale per adottare il modello inglese. Sistema che ha impiegato anni per essere perfezionato, passando attraverso fasi e tentativi completamente diversi. La Thatcher infatti fece approvare lo Sporting Events Act, legge che limitava l’acquisto e il consumo di bevande alcoliche negli stadi, nei treni e nei bus speciali per i tifosi, mentre nel 1986 il Public Order Act permise alla magistratura di interdire la presenza negli impianti sportivi di singoli ritenuti violenti, costringendoli all’obbligo di firma in caserma (in pratica il nostro Daspo) e, per la prima volta, come reato la messa in atto di comportamenti ritenuti di turbativa della quiete pubblica.La parola d’ordine fu: repressione a qualunque costo. Anche con provvedimenti drastici, come quello che prevedeva settori con barriere simili a gabbie negli stadi per isolare le tifoserie più pericolose. Una scelta che non diede grandi risultati, oltre a quello di far sembrare animali tra le sbarre gli ultras in trasferta, e che contribuì involontariamente a provocare un altro dramma. Il 15 aprile 1989 nella semifinale di Coppa d’Inghilterra tra Liverpool e Nottingham Forest allo stadio di Hillsborough, a Sheffield, 96 persone morirono schiacciate contro le barriere di metallo senza che fossero scoppiati incidenti. La conclusione dell’indagine governativa relativa a quella immane tragedia segnalò la pericolosità di obbligare migliaia di tifosi a stare in spazi piccoli e in piedi. Ecco allora il Football Spectators Act del 1989, che sancì la possibilità di vietare la presenza a eventi sportivi al di fuori di Inghilterra e Galles a persone condannate per reati connessi alla disputa di partite di calcio. Ma soprattutto venne sancito l’obbligo per le società di ristrutturare gli stadi: vennero investiti oltre 350 milioni di sterline per costruire o modificare impianti privati attraverso l’eliminazione delle barriere tra il campo di gioco e gli spalti, con soli posti a sedere e l’installazione delle telecamere interne di sorveglianza.Da allora le autorità locali rilasciano ai club i certificati di sicurezza indispensabili per le iscrizioni ai campionati. Ai club è demandata la gestione del servizio di sicurezza interno agli impianti, operato dagli steward e non dalla polizia che, negli anni, ha ridotto in media dell’80% la sua presenza in occasione delle gare, limitandosi a presidi esterni e operazioni investigative molto attente. A questo provvede un reparto apposito di Scotland Yard, la National Crime Intelligence Service Football Unit, squadra speciale di sorveglianza anti hooligans.In Inghilterra oggi gli stadi sono ormai tutti di proprietà delle società. Ma soprattutto i tifosi hanno visto riconosciuto il loro diritto a seguire una partita senza preoccuparsi di venir coinvolti in incidenti. Sono stati abituati a stare seduti, ad entrare allo stadio con un biglietto elettronico pochi minuti prima del fischio d’inizio, e a comportarsi correttamente. Anche perchè sono facilmente individuabili in un ambiente ordinato. Chi sgarra, allo stadio non entra più. Per tutta la vita.