Il libro. La metamorfosi di Luigi Di Maio, l'improvvisato che si fece "sgobbone"
La presentazione del libro di Di Maio, intervistato da Myrta Merlino. In Prima fila Virginia Raggi, Virginia Saba e Marco Tardelli. A terra di spalle il fotografo Umberto Pizzi
Luigi Di Maio, l’ex "Gigino il bibitaro" si fece scrittore, autobiografo di se stesso, a soli 35 anni. La metamorfosi del politico "improvvisato", in nome dell’«uno vale uno» grillino (e diventato "sgobbone" a studiare in profondità tutti i dossier più spinosi alla Farnesina) si consuma di mercoledì sera nel salotto buono della politica, la galleria Alberto Sordi, accanto a Palazzo Chigi. Si presenta, alla libreria Feltrinelli il suo libro Un amore chiamato politica, appena uscito per Piemme.
La prima fila dà lavoro a Umberto Pizzi, il fotografo cult della politica romana: c’è la fidanzata Virginia Saba (una «donna eccezionale» la definisce il ministro degli Esteri) arrivata in compagnia di Vincenzo Spadafora: sono stati proprio loro due a spingerlo a produrre questa prima fatica letteraria. Ci sono gli ex ministri Bonafede e Fraccaro, la sottosegretaria Dalila Nesci, ci sono Francesco D’Uva e Stefano Buffagni. E c’è anche Virginia Raggi: nessuna ruggine pregressa, almeno con Di Maio, per esser stata lasciata sola il giorno della disfatta. «Ha un’esperienza da non disperdere», dirà di lei, Di Maio. Fra il pubblico anche il deputato forzista Paolo Russo, «un azzurro tendenza Di Maio», si autodefinisce. Arriva l’intervistatrice Myrta Merlino con il compagno Marco Tardelli, si può iniziare.
Si parla di Quirinale, della cena con Giorgetti. «Sono a dieta da sei mesi, faccio un’eccezione una volta al mese per una pizza "da Michele" con lui. Non era la prima volta, solo che stavolta ci hanno fotografato. Ma abbiamo parlato solo della pizza», dice violando subito la promessa di dire tutta la verità. Poi ammette: «Salvini inaffidabile? Giorgetti lo sa, non c’è bisogno che glielo dica io». Quanto al Quirinale, «con questo totonomi arriveremo a gennaio senza nomi», e motiva così la sua reticenza. Ma qualcosa la dice, alla fine: «Con l’uscita di scena di Merkel e le elezioni in Francia, molti guardano alla leadership italiana». Si riferisce a Draghi, ma anche a Mattarella, e vi si può leggere un velato invito a entrambi a prendere in considerazione di restare al loro posto.
Sono cambiate tante cose, in 5 anni, ma resta la gratitudine per i padri fondatori. Per Gianroberto Casaleggio, «lo Steve Jobs del M5s», per i tanti «brevetti» che ha lasciato. E per Beppe Grillo, «che ha più di 70 anni ma è il più giovane di tutti». A lui riconosce il merito di aver assecondato tutte le svolte, compresa la nascita del governo Draghi. Un evento che gli consente di lodare anche il grande assente, Giuseppe Conte, descritto da taluni come rivale. «Signorile», definisce la sua uscita dal governo, «a differenza dei due Matteo». Con Draghi si descrive in grande sintonia: «Non potrei essere il suo ministro degli Esteri, altrimenti. Con il suo prestigio sta aiutando l’Italia», dice, e assicura che il Movimento lo sostiene compatto. Ma nessun paragone con Conte, che «ha lavorato su un foglio bianco, in una fase in cui si credeva che l’Italia fosse l’unica appestata d’Occidente. Siamo stati un Paese modello, in quei giorni, il popolo italiano ha dato meglio di sé». Con lui «si è creato un legame indissolubile per le esperienze vissute insieme». E ora che guida il M5s, «sa benissimo che può contare sulla mia lealtà e di tutto il Movimento», assicura.
Ma che cosa farà Di Maio da grande? «Ho 4 anni davanti da membro del Comitato di garanzia del Movimento, vediamo cosa succederà nei prossimi mesi e nei prossimi anni», dice solo.