L'emergenza occupazione. Il lavoro povero colpisce donne e giovani
La presentazione della ricerca "Lavorare pari" ieri nella sede delle Acli
Dieci proposte delle Acli per un lavoro dignitoso. Proposte che nascono dalla ricerca sul “lavoro povero” basata sull’analisi di oltre 760mila dichiarazioni dei redditi relative al 2021. Più di una persona su sette (14,9%) pur lavorando ha un reddito da povero assoluto. Quasi una su cinque (19,5%) ha un salario relativamente povero e quasi tre su dieci (29,4%) sono in condizioni di vulnerabilità, ovvero una malattia, un divorzio o perfino la scelta di avere un figlio lo portano alla soglia della povertà. Peggio per donne, giovani e al Sud (peggio ancora se stranieri). Le Acli chiedono - tra l’altro - «più e migliori controlli, un salario minimo facendo riferimento in modo vincolante alle retribuzioni minime dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, individuare un indice dell’esistenza libera e dignitosa che la Costituzione chiede alle retribuzioni di garantire, promuovere e premiare le aziende che fanno di più, che oltre a contratti dignitosi investono nella formazione, nella partecipazione dei lavoratori e in tempi di lavoro migliori e conciliazione; individuare una soglia di guadagno massimo consentito perché tanto lavoro è impoverito e reso diseguale da un eccesso di arricchimento sproporzionato che non trova alibi nel merito». E inoltre «dirsi che un’altra scuola è possibile rimettendo al centro educazione, logiche di apprendimento cooperativo e un accompagnamento e orientamento personalizzato, estendere le politiche attive realizzando, Comuni e Terzo settore insieme, delle Case del lavoro». « Negli ultimi 30 anni c’è stato un tendenziale impoverimento o, comunque, un deprezzamento del lavoro che ha bloccato il Paese socialmente, demograficamente, economicamente. Il problema non è solo la povertà del lavoro, ma la vulnerabilità dei redditi da lavoro e la debolezza con cui complessivamente il sistema Paese risponde al dettato costituzionale per cui le retribuzioni devono garantire un’esistenza libera e dignitosa». Lo ha affermato ieri pomeriggio Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale delle Acli con delega al Lavoro e al Terzo settore. Snocciolando i dati, Tassinari ha definito l’economia italiana in alcuni casi «trasandata, che ha una vista molto corta e che strizza l’occhio al sommerso». Per Luisa Corazza, docente di Diritto del lavoro presso l’Università del Molise, si tratta di «dati sconfortanti, che attestano una notevole diffusione del lavoro povero, in particolare per giovani, donne e residenti nel Sud». La docente ha anche ricordato di come sia cambiato il mercato del lavoro non solo in Italia, è un’evoluzione che ha messo «in crisi l’unitarietà contrattuale e di categoria», con la moltiplicazione dei contratti collettivi: oltre 900 quelli depositati al Cnel e 170 i sindacati rappresentati. In merito al salario minimo ha difeso il ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva, con diverse sentenze dei tribunali a difesa della dignità del lavoro e della sufficienza salariale, in attesa di un intervento legislativo. Sergio Spiller, del Dipartimento contrattazione, rappresentanza e mercato del lavoro della Cisl, ha confermato che esiste un problema salariale e di reddito, ma il salario minimo legale «è una proposta troppo semplificata: oggi tutti i rinnovi hanno al centro il salario minimo. Non siamo convinti dell’intervento di legge, poiché deprime la contrattazione». Invece bisogna ragionare sui limiti del sistema contrattuale, «visto che spesso esistono contratti diversi per lavoratori della stessa azienda». Per Spiller «c’è un problema culturale: servono una contrattazione di secondo livello e una legge di rappresentanza sindacale».