Trapani. Il ghetto di Erbe bianche la Rosarno del Belice
Vita quotidiana nel ghetto dove in autunno l’affollamento arriva a 1500 persone
Il sogno di Lamin resiste anche nella baracca di cartone nello strano villaggio abusivo che sorge in mezzo agli sfabbricidi alle porte di Campobello, vicino all’autostrada. È un sogno piccolo, trovare lavoro come elettricista o come parrucchiere e la sua speranza è serena, determinata: «sarà col nuovo anno». Tra qualche giorno compirà vent’anni e se anche per un momento nei suoi occhi appare un’ombra di tristezza svanisce immediatamente in un sorriso sicuro ed ironico. «Il mio sogno è come la baracca, ricoperta di una coperta di lana per tenerlo al caldo e di un telo di plastica, impermeabile alla mala sorte».
Arriva dal Gambia e in Sicilia è sbarcato quasi sei anni fa, a 14 anni. Dopo il centro d’accoglienza, il lavoro per mandare i soldi a casa, la disoccupazione e il tam tam dei connazionali per trovare un lavoro saltuario in campagna e un posto dove stare. «Ed eccomi qui da un mese». Qui è l’ex baraccopoli di Campobello di Mazara, l’area quella di contrada Erbe bianche dove, dopo il terremoto nel Belice del ’68 furono allestite le baracche, periferia che sorge vicino ad un'area archeologica che da un decennio viene abitata dai lavoratori stagionali che arrivano per la raccolta delle olive: per quelle da mensa il lavoro è più faticoso, da fare a mano. Prima erano tunisini ora tutti immigrati dell’area subsahariana.
Nei mesi di ottobre e novembre un flusso di quasi 1500, quasi tutti regolari. «I numeri crescono, la crisi si fa sentire e molti arrivano anche dal nord», spiega il coordinatore provinciale di Libera Salvatore Inguì che ad Erbe bianche è presente da sempre. Il campo è una cittadella su due viali. Casupole sistemate alla meno peggio con materiali di scarto rivestite con i teli di plastica della ven- demmia per renderle impermeabili costeggiano lo sporco sterrato dove si accendono i fuochi usati per scaldarsi e per la cucina comune o per riscaldare l’acqua per la doccia (anch’essa improvvisata vicino ad un muro fatiscente) o per riempire le bottiglie con cui, con pazienza, lavare piedi, viso, braccia e denti. Dentro le capanne non ci sono suppellettili né sedie e fuori si usano i carrelli da supermercato come armadio, per le bombole del gas o per far asciugare il bucato.
Vecchie finestre fanno da porta nella baracca che funge da moschea. Qui, dove Lamin vive solo da un mese, un gruppo di immigrati del Senegal, del Gambia e del Malì vive ormai stabilmente, senza luce e senza servizi igienici, solo qualche rubinetto per l’acqua: una bidonville mediterranea in mezzo ad eternit e immondizia. All’ingresso Thierno del Senegal e Bamba del Mali. Sono loro ad accogliere i volontari che cercano di far fronte ai bisogni di assistenza burocratica, alle necessità di vestiario o mediche. Bamba fa da 'direttore' dell’anagrafe. Su un foglio annota i dati di tutti gli abitanti: età, nazionalità, lavoro. 70 i registrati a Capodanno. In un altro il progetto di ospitalità del centro diciamo 'istituzionale'.
Perché il paradosso a Campobello è proprio qui. Dopo la morte di Ousmane, un ragazzo senegalese di 25 anni ucciso nell’esplosione di una bombola che usava per cucinare, la mobilitazione di diverse associazioni e la sinergia delle istituzioni portò all’individuazione di un bene confiscato ad un prestanome del capomafia di Campobello, l’ex oleificio 'Fontane d’oro' come centro di l’accoglienza. Il centro 'ciao Ousmane' apre prima in via provvisoria con l’affidamento alla Croce Rossa, ma il sito e le risorse si rivelano subito insufficienti. Si cerca invano una nuova aerea.
Finché è l’ex oleificio non viene affidato al comune che procede con lavori di adeguamento. Il centro riapre i battenti a fine ottobre del 2017 con la possibilità di dare alloggio a soli 250 stagionali regolari. Ma è tardi e i posti sono troppo pochi. Ad Erbe Bianche sono già oltre mille. «O tutti o nessuno, è stata questa la loro scelta e quindi l’ex oleificio è rimasto vuoto», racconta il sindaco di Campobello Giuseppe Castiglione. Un fallimento che lascia l’amaro in bocca. «Da Erbe bianche a Fontane d’oro e ritorno – continua sarcastico Inguì – ora chiediamo ai cittadini di aprire le loro case senza timore, molti degli immigrati non riescono a trovare alloggi in affitto». Un appello che rilancia il sindaco, ancor più preoccupato adopo che un incendio, la notte di Natale, a messo a rischio la vita di alcuni abitanti del campo, lasciandoli senza nulla.
«Non è possibile pensare di lasciare la soluzione di un problema così complesso sulle spalle di un comune di 11mila abitanti. Per la prossima stagione il prefetto ha già stabilito che gli immigrati saranno suddivisi anche in altri comuni come Castelvetrano e Partanna ma servono risorse per la bonifica dell’area». Intanto per il brindisi di fine anno Comune e Caritas hanno organizzato un pranzo in un’area attrezzata all’aperto: pasta con fagioli e lenticchie preparate dalle donne del paese, verdure al barbecue e panettone, seduti insieme in un grande tavolo a ferro di cavallo in una bella giornata di sole. Nel pomeriggio brindisi anche con i volontari giunti per portare altro vestiario alle vittime dell’incendio. «Siamo fiduciosi della disponibilità manifestata dalle istituzioni – dice il comboniano padre Domenico Guarino del forum antirazzista di Palermo –, ma se il prossimo settembre la situazione non sarà cambiata non potremo fare altro che constatare che non c’è una vera volontà politica di risolvere il problema».