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Inchiesta Eni. Inchiesta Eni, il funzionario che disse «no»

Antonio Maria Mira martedì 5 aprile 2016
C’è anche un personaggio positivo in questa storia di inquinamento e cattiva amministrazione. Non è un eroe ma un fedele e intraprendente dipendente pubblico. Si tratta dell’architetto Paolo Baffari, funzionario dell’Ufficio ciclo dell’acqua della Regione Basilicata, che non vedendo chiaro nella richiesta dell’Eni di reiniettare nel sottosuolo le acque di lavorazione del petrolio, riscontrando delle evidenti «illegittimità», aveva negato l’autorizzazione. Un chiaro «no», come ha spiegato il 18 giugno 2014 ai carabinieri del Noe, ma che era stato ignorato. Anzi peggio. Infatti ne era stata data un’interpretazione opposta da altri uffici regionali e poi nascosto. Eppure in una sua nota del 21 ottobre 2013, aveva spiegato che le prescrizioni contenute nell’autorizzazione «si ritengono insufficienti a garantire, nell’attività di scarico in unità geologiche profonde delle acque di strato, la salvaguardia igienico ambientale delle falde acquifere». Affermazioni che il Bafari, 54 anni di Potenza, aveva confermato nella conferenza di servizi del giorno dopo nel corso della quale aveva in particolare sottolineato come «le attività di reiniezione possono interferire e causare presenze anormali di metalli anche in aree non apparentemente legate al pozzo Costa Molina 2». In altre parole, le sostanze inquinanti potevano finire anche fuori dal pozzo nel quale si intendeva reiniettare le acque di lavorazione. Così il funzionario onesto e preparato aveva messo nero su bianco, ripetendo di «non poter procedere al rinnovo dell’autorizzazione» per le attività di scarico, sottolineando come «l’attività di reiniezione nel pozzo Costa Molina 2, dal 10 settembre 2013, avviene senza legittima autorizzazione». Ma sempre negli uffici regionali c’era chi non la pensava così e oltre a dare ugualmente il via all’autorizzazione aveva tentato di nascondere le prove. Lo si scopre quando il 26 marzo 2014 la procura di Potenza emette un ordine di esibizione nei confronti della Regione di tutti i documenti relativi al processo di reiniezione. Lo stesso giorno l’architetto telefona al Noe comunicando di aver predisposto i documenti ma sottolineando «la sua preoccupazione e perplessità in relazione alla circostanza che, a suo parere, non sarebbe stata consegnata ai carabinieri tutta la documentazione da lui prodotta al dirigente del suo ufficio». A conferma di questo trasmette per e-mail al Noe l’elenco dei documenti che lui aveva preparato. Tra quelli poi consegnati dalla Regione ne mancano tre. Proprio il parere negativo al rinnovo dell’attività di reiniezione delle acque e il rapporto in cui Baffari sottolineava come i documenti inviati dall’Eni sulla reiniezione non fossero «né leggibili né interpretabili». Qualcuno li aveva fatti sparire ma in modo maldestro. Baffari li aveva numerati ma quando gli investigatori lo convocano scopre che qualcuno aveva modificato a penna la numerazione dei documenti per non far più comparire quelle tre carte 'scottanti'. Che il funzionario poi consegna ai carabinieri.