Attualità

IL FRONTE DEL NORD. Il diktat della Lega: federalismo, poi si voti

Diego Motta mercoledì 16 febbraio 2011
Per ora è solo una dichiarazione d’intenti. «Facciamo un patto per il federalismo». L’offerta arriva dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ed è indirizzata alla Lega Nord sul quotidiano di partito "La Padania". Un dato tutt’altro che marginale. «Aspettiamo i fatti», è la risposta che arriva dallo stato maggiore del Carroccio in serata, dopo aver misurato ancora una volta la distanza che c’è tra la base nordista e le proposte del centrosinistra. Eppure il segnale lanciato dal leader democratico diventa nel giro di ventiquattr’ore un’arma potentissima in mano a Umberto Bossi, che ha dato il suo via libera all’intervista, per chiedere chiarezza al suo alleato storico, Silvio Berlusconi. Solo una telefonata in serata tra i due, partita dal ministro per le Riforme, ha contribuito a rasserenare almeno in parte il clima, in una giornata difficilissima per il Cavaliere. Quindi in serata prima la cena con i suoi e dopo il vertice a Palazzo Grazioli con Roberto Calderoli.«Basta con Ruby e i giudici. Noi vogliamo solo le riforme e quell’intervista va letta come il ritorno alla realpolitik» è quel che si raccoglie in ambienti del Carroccio molto ben informati. Lo schema è semplice: Bersani offre un’intesa a Bossi sul federalismo, a patto che questi dichiari subito finita l’esperienza di governo. Bossi vorrebbe ribaltare la prospettiva: prima il federalismo, magari per «le Idi di marzo», poi si va al voto.È evidente che le due strategie non coincidono, soprattutto nei tempi, però in questo modo la Lega mantiene alto il pressing sul Cavaliere. «Ha un mese di tempo, non di più». Un ultimatum? «Non ancora, ma stiamo superando il livello di guardia». Alla Lega, in particolare, non piace la sufficienza con cui i colonnelli del Pdl stanno trattando il tema del federalismo. A Roma, dove l’accusa è di «scarso impegno», e sul territorio, dove rischiano di saltare alcune alleanza alle amministrative. Per questo, la mossa di Bersani rischia di fare più il gioco di Bossi che non del Pd. Lo dimostrano le reazioni dell’elettorato democratico, che non ha gradito lo "sdoganamento" del Carroccio sui temi sociali. Quella frase sulla «Lega che non è razzista» ha infiammato ieri i blog di molti esponenti del Pd. Neanche sull’altro versante, peraltro, l’apertura di Bersani è stata accolta in modo particolarmente positivo. «I nostri lettori ed elettori sono molto concreti – spiega Marco Reguzzoni, presidente dei deputati della Lega – e nei prossimi giorni ci saranno molti banchi di prova per capire se il Pd passerà dalle parole ai fatti». I fatti sono i voti che sono mancati alla Bicameralina sul federalismo, attesi però per i prossimi giorni.Nessuno, almeno per ora, tende ad accreditare possibili svolte da parte di Via Bellerio. «Il governo c’è ed è quello eletto dai cittadini» conferma Reguzzoni. «Il problema è che non riusciamo più a contenere l’insofferenza dei nostri – svela un’altra fonte –. Cosa andremo a raccontare in campagna elettorale, se non dovessimo portare a casa la riforma dello Stato? Dovremo tornare a parlare di repubblica del Nord?».Per questo, c’è chi si cautela da tempo, a destra e a sinistra, immaginando governi tecnici. Bersani a "La Padania" non si tira indietro quando gli si chiede un giudizio su Giulio Tremonti, da più parti indicato come l’uomo giusto per una nuova fase, sempre targata centrodestra. «Lo vedo molto defilato – spiega il leader Pd – ma non è questo il momento di nascondersi». «Certo che Tremonti andrebbe bene – risponde un emissario del Carroccio – Il problema è che tutti lo stanno tirando per la giacchetta, mentre il suo nome dovrebbe restare coperto...»