Treviso. I “pantaloni rosa” e il bullismo, perché la scuola ha rimandato la proiezione
Il cast di "Il ragazzo dai pantaloni rosa" alla Festa del Cinema di Roma
La scuola media Augusto Serena di Treviso ha rinunciato alla presenza di circa 150 suoi allievi alla proiezione programmata in un cinema di Treviso de "Il ragazzo dai pantaloni rosa", tratto dalla storia di Andrea Spezzacatena che il 20 novembre del 2012 si tolse la vita dopo vessazioni subite dai compagni di classe, perché portava dei pantaloni di colore rosa, tali perchè stinti per errore.
Qualche giorno fa alcuni genitori si sono rivolti agli insegnanti chiedendo di non portare i ragazzi «in quanto il tema dell’omofobia e del suicidio potrebbe non essere adatto a ragazzini di 11-12 anni». La dirigente del plesso, d’accordo con il collegio docenti, ha dunque disdetto la prenotazione. Appena presentato alla Festa del Cinema di Roma, il film è tratto dal romanzo autobiografico di Teresa Manes, la madre di Andrea, 15enne del liceo Cavour di Roma, vittima di bullismo e cyberbullismo. Una storia vera, “educativa”, secondo altri genitori delle scuole trevigiane che hanno chiesto alle autorità scolastiche di poterla rendere disponibile in visione ai loro figli studenti.
«I nostri allievi ci andranno in un secondo momento – ha avuto modo di spiegare e di rassicurare Anna Durigon, la dirigente dell’Istituto Serena –. Quindi nessun rifiuto. E nessun dubbio sul tema trattato nel film: anzi, lo riteniamo molto interessante per i ragazzi. La questione è che si tratta di studenti giovanissimi: visto che il film è appena uscito e non è stato ancora visto, riteniamo sia opportuno che gli insegnanti si facciano prima un’idea. Ci sarà anche un lavoro di presentazione per preparare i ragazzi. Dobbiamo anche renderci conto che ci possono essere ragazzi che stanno vivendo situazioni simili e dunque non sappiamo che reazioni emotive potrebbe scatenare certe scene».
Di diverso avviso il sindaco leghista del capoluogo della Marca, Mario Conte. Con il diniego – ha detto - è stata persa un’occasione per approfondire e conoscere meglio temi che sono vere piaghe della nostra società.
La proiezione dell’opera di Margherita Ferri, che vede Claudia Pandolfi nei panni della madre, era prevista il 4 novembre. Per il primo cittadino di Treviso, «evitare di confrontarsi su questi argomenti non credo sia la soluzione. Omofobia, depressione, suicidi sono, ahimè, molto attuali nella società. Dispiace quello che è successo a Treviso, ma preoccupano anche le reazioni omofobe di Roma: due situazioni che devono far riflettere tutta la nostra comunità».
Si dice sorpreso anche don Elio Girotto, responsabile dell’Associazione Acec per la diocesi di Treviso e del Triveneto. «Ciò che mi sorprende è anzitutto l’eccesso di interventismo da parte di un gruppo di genitori. Il film non ha niente di sconveniente, non è un film che sostiene particolari bandiere, ma racconta la storia vera di un ragazzo. Ha, fra l’altro, il patrocinio del Presidente della Repubblica e di alcuni ministeri. Forse la cosa che fa più paura, è il tema dei suicidio che è molto legato a quello della solitudine, del disagio che sappiamo essere presente nella fase adolescenziale».
Alcuni genitori hanno sostenuto che il film non dovrebbe essere proposto alle scuole medie, troppo piccoli sono i ragazzi. «Ma è anche vero – obietta subito don Giorotto – che il problema del bullismo, del rifiuto, della non accettazione e della solitudine, incomincia proprio a quest’età. Perché avere paura di affrontare certi temi? Io lavoro con i giovani; mi fanno ascoltare canzoni e vedere i video che lanciano messaggi ben più preoccupanti. Mi stupisce, insomma, l’incapacità di mettersi di fronte ai ragazzi e di parlare con loro di certe tematiche».
La recensione di Alessandra De Luca
Un film di denuncia, che può presentare criticità per i preadolescenti
Tutta colpa di un lavaggio sbagliato se i pantaloni rossi di Andrea sono diventati rosa. Troppo belli però per lasciarli nell’armadio, pazienza se hanno cambiato colore. Inizia così la lenta discesa agli inferi del bullismo per un ragazzo di quindici anni, vittima di scherzi di pessimo gusto, poi di veri e propri attacchi omofobi che lo spingeranno a togliersi la vita. Il ragazzo in questione è Andrea Spezzacatena, per il quale un colore “sbagliato” si è trasformato in una condanna e che, impiccatosi il 20 novembre 2012, è il primo minorenne italiano suicidatosi per bullismo e cyberbullismo. Frequentava il liceo Cavour di Roma e il suo corpo fu ritrovato dal fratello minore, Daniele, di dieci anni.
La sua drammatica storia è diventata un film, Il ragazzo dai pantaloni rosa, opera terza di Margherita Ferri (dopo il documentario Odio il rosa! e Zen sul ghiaccio sottile), presentato nella sezione Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma e, prima ancora, al Festival di Giffoni, dove la platea dei ragazzi aveva reagito alle sequenze proiettate mostrando notevole partecipazione emotiva proprio alla rappresentazione del bullismo, indipendentemente dagli appigli scatenanti. Una reazione che rende la proiezione del film adatta a ragazzi più maturi, ma forse non a ragazzini dell’età della scuola media.
Scritto da Roberto Proia, interpretato da Samuele Carrino, Claudia Pandolfi, Andrea Arru, Sara Ciocca, Corrado Fortuna e nelle sale con Eagle Pictures dal 7 novembre, il film comincia quando Andrea, durante un’audizione per entrare a far parte di un coro, conosce un ragazzo, Christian, al quale si sente improvvisamente legato. Ancora incapace di decifrare emozioni e sentimenti, vive anche una profonda e contraddittoria storia di amicizia con Sara, che tenta in tutti i modi di proteggerlo.
Ma un giorno a scuola Andrea e i suoi pantaloni rosa diventano il bersaglio di violenti insulti omofobi e di una campagna denigratoria condotta anche attraverso una pagina Facebook, che la madre scoprirà solo dopo la morte del figlio, decidendo di dedicare la propria vita all’incontro con i ragazzi nelle scuole per metterli in guardia contro la violenza delle parole. Autrice del libro Andrea, oltre il pantalone rosa (edito da Graus), il 27 dicembre 2021 Teresa Manes ha ricevuto dal presidente Sergio Mattarella l’onorificenza di Cavaliere.
A raccontare la propria storia nel film è lo stesso Andrea, una scelta che desta qualche perplessità e a essere onesti un certo disagio, anche se quel punto di vista verrà ribaltato nel finale, secondo una idea di sceneggiatura che si colloca a metà strada tra flusso di coscienza e racconto narrativo. «Non tutto poteva essere realistico nel film – dice la regista – perché la vicenda giudiziaria non è ancora arrivata a stabilire dei colpevoli e non è noto chi fosse il bullo. Volevamo raccontare la storia della vita di Andrea e non quella della sua morte».
La morte di Andrea resta infatti fuori campo, irrappresentabile nella sua tragicità: lo spettatore la scopre quando tutto è ormai avvenuto e quando sua madre apprenderà il calvario silenzioso vissuto dal figlio, che non aveva mai fatto parola del dramma vissuto a scuola. Un epilogo che provoca nello spettatore una grande emozione e che, a dispetto di una fine nota, arriva inaspettato. Il ragazzo dai pantaloni rosa è allora un invito a mettersi in ascolto degli altri. «Durante l’adolescenza – dice ancora la Ferri – quando i sentimenti sono assoluti, l’irrazionalità prevale su tutto, e ci si sente diversi e inadeguati, è necessario parlare, farsi ascoltare e pensare molto bene al valore e al peso delle parole, che possono uccidere. La condanna di Andrea è stata quella di caricarsi di dolore e disagio, senza avere strumenti per potersi esprimere. È restato in silenzio per non risultare debole, fragile, perdente. Invece riuscire a condividere il proprio dolore può salvare la vita».