Nessun aumento delle tasse. Il governo
di Matteo Renzi assicura che
il prossimo anno la pressione fiscale non aumenterà. Le clausole
di salvaguardia inserite nella scorsa manovra, pari a 16,8
miliardi solo nel 2016, saranno quindi disinnescate, facendo
leva su una spending review "giusta" e su una crescita economica
più forte del previsto.
Inversione di tendenza del Pil. Secondo le nuove stime contenute nel
Def, definito dal consiglio dei ministri per ora solo nel quadro
macroeconomico, quest'anno il Pil crescerà infatti dello 0,7%,
un decimale in più rispetto alla stima d'autunno di +0,6%. Una
revisione minima ma che - per una volta - potrebbe essere
superata dalla realtà.
Rimasto scottato dalla ripresa, auspicata ma mai avvenuta,
del 2014, l'esecutivo ha infatti scelto la strada della
prudenza. Se alla fine dell'anno, l'economia italiana riserverà
delle sorprese più positive sarà tanto di guadagnato, ma per ora
si è deciso di volare bassi.
Taglio delle tasse nel 2016. Il governo sceglie di avere A differenza del passato, l'aumento del Pil non sarà
funzionale al rientro del deficit. Anzi. Nonostante la maggiore
spinta all'economia, gli obiettivi di indebitamento restano
infatti quelli prefissati: 2,6% quest'anno, 1,8% nel 2016 e 0,8%
nel 2017. Come già sperimentato nella legge di stabilità, il
governo punta così a garantirsi maggiori margini di manovra, con
risorse a disposizione che, ha annunciato Renzi, dopo i 21
miliardi di riduzione della tassazione di quest'anno, potranno
"eventualmente", "se ci saranno le condizioni", portare ad un
ulteriore taglio delle tasse a partire dall'anno prossimo.
Solo ritocchi al deficit. Stesso ragionamento vale anche per il pareggio di bilancio,
raggiungibile, secondo l'esecutivo, già dall'anno prossimo, ma
confermato al 2017 proprio per "conferire una natura espansiva
alla programmazione per il 2016". Il deficit strutturale
rientrerà invece di appena lo 0,1% del Pil e non - come
comporterebbe un'applicazione rigida delle regole Ue - dello
0,5%. Grazie alla clausola sulle riforme offerta dalla
comunicazione sulla flessibilità Ue di cui il governo intende
avvalersi pienamente, la correzione sarà dunque di circa un
miliardo e mezzo, oltre 6 in meno (pari allo 0,4% di differenza)
di quanto sarebbe invece costata.
Sul fronte del debito, il 2015 sarà ancora un anno di
difficoltà con un'ulteriore salita rispetto ai livelli record
già toccati nel 2014. Poi, grazie anche al programma di
privatizzazioni, inizierà la discesa e nel 2018 arriverà la vera
svolta. Tra tre anni, ha spiegato il ministro dell'Economia,
Pier Carlo Padoan, "la regola europea sarà pienamente
soddisfatta. L'incubo della montagna del debito che può attivare
la ghigliottina delle regole sarà finalmente finito".
La spending review Fin qui il quadro macro messo a punto nella riunione del
consiglio dei ministri, la seconda costola del Def che
conterrà anche i dettagli della spending review. L'operazione di
revisione della spesa varrà circa 10 miliardi, ha chiarito
Renzi, anche se gli spazi di intervento sarebbero di circa il
doppio. Il premier ha citato come esempi le partecipate
pubbliche e i centri di acquisto, assicurando che i tagli non
riguarderanno minimamente le prestazioni ai cittadini.
L'impostazione è anzi opposta. "La revisione della spesa - ha
puntualizzato il presidente del Consiglio - non è il tentativo
di far del male ai cittadini ma di utilizzare meglio loro soldi.
Non tocca la carne viva degli italiani, ma gli sprechi della
pubblica amministrazione".