Pandemia. Il Covid senza sintomi? Italiani scoprono il perché
I ricercatori del laboratorio di Genetica del Ceinge di Napoli
Se, dopo essere stati infettati dal Sars-CoV-2, pur avendo dei fattori di rischio come l’età avanzata, non sviluppiamo in forma grave la malattia Covid-19, è grazie ad almeno tre mutazioni genetiche rare. La conclusione è di un gruppo di ricercatori guidati dai docenti di genetica medica Mario Capasso e Achille Iolascon, dell’Università Federico II di Napoli e del Ceinge – il Centro di biologia molecolare e biotecnologie avanzate dello stesso ateneo partenopeo – che hanno pubblicato il lavoro sulla prestigiosa rivista internazionale Genetics in Medicine, rendendo disponibili online i dati raccolti a tutti gli studiosi.
Sino a questo momento erano noti i fattori di rischio, come età, sesso e malattie pregresse, che hanno un ruolo rilevante nel determinare la gravità del Covid-19. Meno conosciuti erano, invece, i fattori genetici dell’uomo che possono contribuire a determinare le diverse forme della malattia, a partire da quelle asintomatiche fino a quelle clinicamente gravi. La ricerca, cui ha collaborato l’Istituto Zooprofilattico di Portici (Napoli), si è basata sull’analisi dei campioni di Dna di circa 800 individui rimasti asintomatici dopo la positività da Sars-CoV-2, pur presentando caratteristiche che ne rendevano pericolosa l’infezione. «Sono stati analizzati tutti i geni conosciuti, utilizzando sequenziatori di ultima generazione e ottenendo così una enorme mole di dati genetici – dice Capasso –. Strategie di analisi bioinformatiche avanzate, messe a punto grazie al contributo del ricercatore Giuseppe D’Alterio e ai bioinformatici del Ceinge, hanno poi permesso di identificare mutazioni patogenetiche rare che erano significativamente più frequenti nei soggetti infetti e asintomatici e non in una grande casistica di circa 57.000 soggetti sani».
I geni coinvolti nelle infezioni asintomatiche sono tre, Masp1, Colec10 e Colec11, e appartengono alla famiglia delle proteine della lectina, coinvolta nel processo di riconoscimento cellulare. «È dimostrato che l’eccessiva risposta immunitaria all’infezione da Sars-CoV-2, e la successiva iper-attivazione dei processi pro-infiammatori e pro-coagulativi sono la causa principale del danno ad organi come polmoni, cuore, rene – afferma Capasso –. La nostra ricerca dimostra che le mutazioni del genoma umano che attenuano questa eccessiva reazione immunitaria possono predisporre a un’infezione senza sintomi gravi». La scoperta può aprire la strada a nuove tecniche di diagnosi e a nuove terapie.
A proposito di diagnosi: il gruppo Cerba HealthCare attraverso il direttore scientifico, il virologo Francesco Broccolo, annuncia che «con un semplice prelievo di sangue è possibile stabilire quanto si è protetti dagli effetti severi della malattia». Vaccinati e guariti, prosegue una nota del Gruppo che si occupa di diagnostica ambulatoriale e analisi cliniche, potranno valutare se «fare o meno la quarta dose di vaccino» grazie a due test: il primo valuta gli anticorpi neutralizzanti protettivi contro l’infezione, e il secondo, «innovativo», chiamato “Igra”, «misura i linfociti T della memoria» e quindi «l’efficacia della protezione contro la malattia e l’infezione stessa». Inizialmente, evidenzia il Gruppo, «non si era capito se le cellule T “funzionassero” anche contro le nuove varianti del Coronavirus, e soprattutto non era disponibile un test per misurarne la risposta. Ora, grazie alla ricerca, le cose sono cambiate».