Fase 2. Il commercio: è allarme consumi, soldi a fondo perduto per evitare le chiusure
Numeri che fanno paura. L’Italia è un paese che ha tirato il freno a mano e ridotto al minimo i consumi. I dati forniti da Confcommercio nella giornata di ieri non lasciano dubbi. Consumi in picchiata del 31,7% a marzo rispetto ad un anno fa e per il primo trimestre di quest’anno si stima una riduzione del 10,4%. Un crollo che fa prevedere per il solo mese di aprile una contrazione del Pil del 13%. Alcuni settori, come quello dell’abbigliamento e della pelletteria, hanno subito un azzeramento. In calo del 95% la presenza di turisti stranieri, dell’82% le immatricolazioni di auto, del 68% il giro d’affari di bar e ristoranti, considerando anche il food delivery. Il tutto mentre il dibattito sulla “fase due” procede con lentezza e con troppi “distinguo”. Il primo test, vale a dire la riapertura di librerie, cartolerie, e negozi di abbigliamento e prodotti per la prima infanzia scattata ieri, ha visto emergere le contraddizioni e lo scontro politico tra governo centrale e Regioni che si sono ribellate. Sulle contromisure adottate per limitare gli impatti della crisi Confcommercio ritiene che «accanto alla concessione di abbondante liquidità a costi molto esigui servano una serie di indennizzi proporzionali alle perdite (al netto delle imposte potenzialmente dovute) subite dagli imprenditori e dai lavoratori». «Serve liquidità immediata senza burocrazia integrando le garanzie dello Stato con indennizzi e contributi a fondo perduto» è il commento del presidente di Confcommercio Carlo Sangalli che chiede una pianificazione attenta delle riapertura. Per Confimprese, l’associazione che riunisce 400mila punti vendita tra diretti e in franchising, la babele di ordinanze aggiunge benzina sul fuoco al settore del commercio in affanno.
Il presidente Mario Resca sottolinea alcune assurdità sui negozi di abbigliamento per bambini: «Non possono aprire quelli che vendono anche abbigliamento per adulti, le Regioni vanno in ordine sparso e questo crea una ridda di proteste tra le imprese che commercializzano entrambe le merceologie e che sono costrette a tenere abbassate le saracinesche». Anche e soprattutto per via dei costi di gestione. «L’Unione Europea ha previsto la possibilità di risarcire i punti vendita che sono rimasti chiusi. In Svizzera, Austria e Germania i negozi hanno ricevuto contributi diretti da 10mila euro in sù, da noi invece si passa attraverso una serie di filtri e burocrazia». Le previsioni sono di un calo delle vendite del 30% per il 2020, calo “assorbito” dall’e–commerce che invece continua a crescere a doppia cifra. L’estensione dello stop fino al 3 maggio secondo Confesercenti porterà le famiglie ad una ulteriore contrazione dei consumi di 30 miliardi. Per l’associazione dei negozianti bisogna sostenere le imprese con più forza, soprattutto quelle che gravitano nel settore del turismo. Le misure messe in campo, a partire da cassa integrazione e mutui, non sono considerate sufficienti. Federdistribuzione, l’associazione che rappresenta 57.500 punti vendita, con il presidente Claudio Gradara chiede di passare ad una fase due concreta «considerando che i negozi sono chiusi da due mesi con fatturati azzerati ma costi fissi inalterati e che anche il settore alimentare non registra più le crescite delle prime settimane ». Servono misure strutturali come la «sospensione o riduzione delle tasse locali, rinegoziazione dei canoni d’affitto e incentivi fiscali per le aziende».