L'allarme. Il clima che cambia minaccia la montagna: «Crolli sempre più frequenti»
I rottami del bivacco Meneghello, precipitato sul ghiacciaio per il crollo dello sperone di roccia su cui poggiava
I rottami del bivacco Meneghello sparsi sul ghiacciaio sono soltanto l’ultima immagine del pesante tributo che la montagna sta pagando al cambiamento climatico. Ricavata nel 1952 da una capanna della Grande Guerra, la struttura in legno, posizionata nel tratto di cresta fra la Punta Cadini (3.524 metri) e il San Matteo (3.678 metri), in Valfurva, è precipitata nei giorni scorsi a causa della fusione del permafrost, che ha provocato il crollo dello sperone roccioso su cui era poggiata. Lo stesso è accaduto, lo scorso agosto, al bivacco Alberico-Borgna, a 3.682 metri, sulle pendici del Monte Bianco. Insomma, le temperature sempre più elevate stanno cambiando per sempre la morfologia delle montagne, andando ad impattare anche sulla vita delle comunità valligiane e cittadine.
Gli esperti concordano: sarà sempre peggio
«Nei prossimi anni questi crolli saranno sempre più numerosi e improvvisi», lancia l’allarme il presidente generale del Club alpino italiano, Antonio Montani, reduce da un incontro con esperti del Politecnico di Milano e dell’Università di Torino, ai quali è stato affidato il monitoraggio della Capanna Regina Margherita, il rifugio più alto d’Europa, a 4.554 metri sul Monte Rosa. Anche lassù si cominciano ad avvertire i danni del clima impazzito, con temperature sopra lo zero per molte ore durante la giornata.
«Questi crolli – aggiunge Montani – stanno avendo un impatto sul turismo e sulla fruizione delle montagne, ma ne avranno uno ancora più importante sulla vita delle grandi città. I ghiacciai, infatti, sono una grande riserva di acqua dolce per milioni di persone. Quando saranno completamente scomparsi, non ci sarà più nulla in grado di trattenere e rilasciare quest’acqua verso la pianura, che inevitabilmente entrerà in una fase siccitosa. E lo stesso vale per il permafrost, il terreno permanentemente ghiacciato che, fondendosi, non soltanto provoca i crolli ma contribuisce alla dispersione di grandi quantitativi di acqua. L’acqua del permafrost, infatti, ha un volume molto più grande di quella dei ghiacciai e, di conseguenza, la perdita è maggiore».
«Dobbiamo smuovere le coscienze»
Eppure, nonostante questi allarmi e le continue prove dei disastri che il cambiamento climatico sta provocando (non soltanto in montagna), non sembra che la coscienza collettiva abbia un sussulto. «Anche dopo il disastro della Marmolada, si è continuato a pensare all’economia di montagna secondo vecchie categorie ormai superate», ricorda Montani. Che giovedì, a Passo Sella, parteciperà a un incontro con associazioni alpinistiche e ambientaliste per «chiedere maggiore rispetto per lo spazio alpino» e protestare contro lo «sviluppo incontrollato e senza limiti» che minaccia il fragile ecosistema alpino.
«Si prosegue nell’errore di pensare l’economia di montagna con i paradigmi dell’economia di pianura – denuncia il presidente generale del Cai –. Questo modello di sviluppo non è più attuale e sta avendo un forte impatto ambientale e sociale sulle comunità locali. La grande infrastruttura che serve alla montagna è la manutenzione di ciò che c’è e non la costruzione di nuove opere faraoniche. Le risorse vanno investite nella cura di sentieri e rifugi e non in nuove infrastrutture che aggiungono cemento a cemento».
«Defiscalizzare per rendere più competitive le terre alte»
Se si vuole davvero rilanciare l’economia delle “terre alte” e frenare lo spopolamento e l’abbandono della montagna, è necessario anche intervenire con provvedimenti legislativi in grado di promuovere il protagonismo dei territori. «È urgente una defiscalizzazione per rendere più competitiva l’economia di montagna», rilancia Montani. Che sollecita la politica a «riconoscere» il ruolo che le popolazioni montane giocano a favore di quelle di pianura, anche attraverso il rilancio di un turismo attento ai territori più vulnerabili.
«Meno auto, più mezzi pubblici»
«In montagna bisogna imparare a muoversi con i mezzi pubblici – sottolinea il presidente del Club alpino - e a frequentare anche le località vicine a casa. Le Tre Cime di Lavaredo sono bellissime ma non possiamo andarci tutti e tutti insieme in agosto. C’è ancora tanta montagna da scoprire, a passo lento e, possibilmente, senza utilizzare l’auto privata. E dormiamo in montagna, per limitare i movimenti e lasciare anche un po’ di ricchezza sul territorio». Magari non avrebbe salvato il bivacco Meneghello. Ma, un cambio di paradigma, potrebbe senz’altro contribuire a far crescere una nuova cultura del turismo montano. Meno predatoria e più rispettosa dell’ambiente.