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Pace. Il Civil 7: «Su clima e disuguaglianze risultati scarsi dal G7. Una nuova agenda»

Nello Scavo, inviato a Bari sabato 15 giugno 2024

Manifestanti per una nuova agenda di pace fondata su diritti umani e cooperazione

Una «nuova agenda di pace», fondata su diritti umani e cooperazione. Chiedevano questo le tante organizzazioni della società civile che hanno fatto i conti in tasca al G7 “Made in Italy”. Scoprendo che la quota di aiuti dei “grandi” destinati all’Africa è al punto più basso dal 1973.

Molti Paesi africani sono vicini all’insolvenza e spendono più per il rimborso del debito estero che per l’istruzione o la sanità. Akinwumi Adesina, presidente della “Banca Africana di Sviluppo”, se davanti alle telecamere ha ringraziato il G7 per il rinnovato impegno, al chiuso dei salotti ha ricordato che «l’Africa ha un deficit di finanziamento delle infrastrutture pari a 68-108 miliardi di dollari all’anno». E questo problema «deve essere affrontato - ha esortato - per sostenere le ambizioni dell’Africa, con il sostegno del G7, per diventare una delle principali potenze economiche globali». Tra i progetti, lo sviluppo sostenibile lungo il Corridoio di Lobito. Servono 320 milioni di dollari a sostegno dell’infrastruttura ferroviaria principale e dei progetti collaterali. Se non lo farà il G7, lasciano intendere gli sherpa della diplomazia africana, lo farà la Cina. Il Corridoio è collegato da un tratto di ferrovia che attraversa le regioni ricche di minerali e petrolio in Angola, Repubblica Democratica del Congo e Zambia.

Ma le profonde disuguaglianze, la violazione dei diritti umani, le minacce al pianeta, la fragilità della pace globale richiedono una «nuova agenda di pace», ricorda il “Civil 7”, la “Coalizione italiana della società civile”, presieduta dall’economista Riccardo Moro, che ha assunto il coordinamento di uno dei gruppi di impegno ufficiali del “G7”. Chiedevano un piano globale per lo sviluppo, fondato sulla garanzia di «un futuro di diritti e di sviluppo sociale e personale per tutti, costruita sul rispetto di regole condivise, come il diritto internazionale, il diritto internazionale umanitario e i diritti umani, l’Agenda 2030». Secondo le oltre 700 organizzazioni da circa 70 Paesi, che vede in prima linea numerose organizzazioni di ispirazione cattolica, occorre fissare «un’agenda di pace capace di consolidare il ruolo degli organismi multilaterali internazionali chiamati a far rispettare queste regole, evitando doppi standard e attacchi alle istituzioni».

Insufficienti vengono giudicate le proposte per la riduzione del debito dei Paesi poveri e in via di sviluppo. «Il comunicato del G7 riconosce l’aumento dell’onere del debito - riconoscono le organizzazioni del “Civil 7” -, ma si limita a promuovere l’attuazione del “Quadro Comune”, un processo che si è rivelato insufficiente per una risoluzione del debito». Stesso spartito sul cambiamento climatico, quando invece «servono piani e tappe concrete per uscire dai combustibili fossili».

Un segnale positivo però viene raccolto. E riguarda il Medio Oriente. Le 700 organizzazioni accolgono «con favore» il fatto che il G7 per la prima volta «abbia riconosciuto il suo sostegno al ruolo centrale della società civile nella costruzione della pace, rispondendo all’appello della società civile globale». Plauso esteso anche all’invito per un «cessate il fuoco immediato e totale» a Gaza. Tuttavia, «nella dichiarazione più lunga degli ultimi anni del G7 su Israele-Palestina, non c’è un linguaggio preciso sull’occupazione militare israeliana, né chiarezza su come si possa costruire un percorso diplomatico capace di porvi fine e garantire sicurezza e autodeterminazione a entrambi i popoli».

Chi non crede alle promesse è anche “One” l’organizzazione internazionale fondata da Bono, il leader degli U2 che nel corso del Giubileo del 2000 aveva fra l’altro promosso le iniziative per la remissione del debito dei Paesi più poveri. «Mentre i leader del G7 pubblicizzano rinnovate partnership con l’Africa, l’analisi di “One” ha rilevato che la quota di aiuti del G7 e delle istituzioni dell’UE destinate all’Africa - denuncia una nota - è al punto più basso dal 1973». Si è passati dal 25% di aiuti dei primi anni ‘70, superando il 45% nel 2006, precipitando di nuovo al 25% dell’anno scorso. Al contrario cresce senza freni la spesa in armi. Per David McNair, direttore esecutivo di “One”, sebbene il comunicato finale «rifletta le promesse di una maggiore partnership tra il G7 e l’Africa, ci sono pochissimi dettagli su quali nuovi finanziamenti saranno disponibili, se ce ne saranno».