Il caso. Perché l'incontro tra Meloni e il vicepresidente del Csm Pinelli è "irrituale"
Il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli e la premier Giorgia Meloni
Il clima quotidiano di scontro, accuse, controrepliche e sospetti che ormai aleggia da tempo fra il governo e la magistratura, innescatosi soprattutto sulle riforme di giustizia, sul nodo delle politiche migratorie e sull’applicazione del quadro normativo europeo, continua a generare tensioni. Le ultime in ordine di tempo originano dall’incontro di ieri sera a Palazzo Chigi fra la premier Giorgia Meloni e il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, giunto al termine di una giornata al calor bianco, con la Lega in prima linea nell’attaccare «i giudici comunisti» per le pronunce su migranti e “Paesi sicuri” e l’Anm impegnata a difendersi, chiedendo rispetto per l’autonomia della magistratura.
Chi ha deciso di effettuare l’incontro? La premier oppure Pinelli? E di cosa hanno discusso i due? Di certo, non era in programma da tempo, se dal Quirinale, l’altra sera, è filtrato «stupore» rispetto al fatto che così d’amblais, senza ragionarne prima col capo dello Stato Sergio Mattarella (che del Csm è presidente), Pinelli abbia preso la strada verso Palazzo Chigi. Fonti qualificate, interpellate da Avvenire, confermano come il Colle sia stato informato «solo a ridosso» dell’evento dal vicepresidente. Insomma il caso è aperto. E a poco serve la precisazione, che arriva da ambienti vicini a Palazzo dei Marescialli, che il Quirinale sia stato «preventivamente informato» e che il vis-à-vis sia stato in fondo «un normale incontro istituzionale come quelli che lo stesso Pinelli ha già avuto con altri rappresentanti delle istituzioni».
Una precisazione che non soddisfa né le opposizioni politiche né i consiglieri togati dello stesso Csm, che in un documento firmato da molti (ma con l’eccezione dei membri di Magistratura indipendente, corrente di area conservatrice) ora invocano chiarezza. Nel testo, i firmatari chiedono a Pinelli di essere resi «edotti», nel plenum di oggi «o nella sede meglio ritenuta, dei contenuti» dell’incontro, «affinché il Consiglio possa avere contezza di un passaggio tanto rilevante istituzionalmente», tanto più «in un momento particolarmente delicato nei rapporti tra politica e magistratura». La richiesta è stata sottoscritta da 13 togati (appartenenti ai gruppi di Area, Magistratura democratica, Unicost, più gli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda) e da un componente laico, Roberto Romboli (in quota Pd). Tutti vogliono sapere se davvero possa essersi trattato di un’iniziativa autonoma dello stesso Pinelli e chiedono spiegazioni sul fatto che nessuno di loro ne fosse stato informato.
Ancor più netti i toni delle forze di opposizione, che ritengono possa essersi trattato di una «convocazione inedita» da parte della stessa presidente del Consiglio (che avrebbe, a loro parere, invitato Pinelli a Palazzo Chigi per un colloquio) e accusano «la destra» di giocare «allo sfascio» istituzionale. Si tratta di «un episodio grave e ancor più preoccupante» avvenuto «senza che il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura abbia ritenuto necessario informare gli altri membri di un incontro tanto irrituale», argomenta la responsabile giustizia del Pd Debora Serracchiani, chiedendo a Pinelli «di chiarire questa scelta». Duro anche M5s, con Valentina D’Orso, che stigmatizza «l’ennesima ingerenza di un governo che le sta provando davvero tutte per condizionare e intimidire l’ordine giudiziario». Critiche alle quali la maggioranza replica provando a minimizzare: «Solo una normale interlocuzione», taglia corto il questore della Camera Paolo Trancassini (FdI), affermando che «molto spesso la premier viene accusata di parlare con questo o con quello». Ma, conclude Trancassini, «lei ha questa caratteristica: si interfaccia e parla con tutti. Non capisco come possa essere motivo di accusa».
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