Torna il redditometro, anzi no. «Non era mai stato abolito, il governo è intervenuto per limitarlo». Diventa un vero e proprio caso (e caos) nel centrodestra il decreto del 7 maggio, a firma del viceministro dell'Economia Maurizio Leo, di Fdi, pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale. Il redditometro è lo strumento che consente al fisco di risalire al reddito realmente percepito alla luce delle manifestazioni di capacità contributiva poste in essere dal contribuente. Introdotto dal governo Renzi era stato sospeso con il "decreto Dignità" del 2018 dal governo giallo-verde di Giuseppe Conte (quello con la Lega), ora il nuovo decreto dovrebbe renderlo applicabile agli accertamenti relativi ai redditi degli anni d'imposta a decorrere dal 2016.La notizia scatena subito forti reazioni nel centrodestra, Forza Italia si dice da sempre contraria, La Lega si dissocia con il capogruppo al Senato
Massimiliano Romeo; prede le distanze, sia pur con maggiore cautela, persino
Marco Osnato, deputato della commissione Finanze di Fdi, lo stesso partito di Leo. Mentre sul fronte opposto il quadro, surreale a parti invertite, registra il plauso dell’ex ministro
Vincenzo Visco e di Avs e anche le ironie di
Matteo Renzi, chiamato in causa da Leo.Dopo le 16 - colpo di scena nel colpo di scena - interviene precipitosamente con una lunga nota il viceministro finito nell’imbarazzante situazione. Frutto, a quanto spiega, di un difetto di comunicazione, innanzitutto tra forze alleate, va detto. «Il centrodestra è sempre stato contrario al meccanismo del "redditometro" introdotto nel 2015 dal governo Renzi», premette Leo. Questo decreto «mette finalmente dei limiti al potere discrezionale dell'amministrazione finanziaria di attuare l'accertamento sintetico, ovvero la possibilità del fisco di contestare al contribuente incongruenze fra acquisti, tenore di vita e reddito dichiarato». Ma non era stato abolito dal governo giallo-verde? A quanto pare no, a sentire Leo: «Siamo intervenuti per correggere una stortura che si è creata nel 2018, quando il governo Conte 1 ha abolito il decreto del 16 settembre 2015, il cosiddetto redditometro, del governo Renzi e aveva contestualmente stabilito che si dovesse emanare un nuovo decreto con dei paletti precisi a garanzia del contribuente, in modo da limitare al minimo il contenuto induttivo dell'accertamento. Purtroppo – conclude Leo – quel decreto non è mai stato emanato e, invece di favorire il contribuente, si è creato un vuoto, introducendo di fatto un meccanismo di redditometro permanente e senza alcuna limitazione. Dopo sei anni, il Governo di centrodestra è finalmente intervenuto e ha emanato un decreto, preventivamente condiviso con le associazioni dei consumatori, l'Istat e il garante della privacy, che fissa dei paletti precisi a garanzia del contribuente e introduce, tra le altre cose, anche un doppio contraddittorio obbligatorio». Condiviso con tutti, tranne che con gli alleati, si potrebbe aggiungere, a giudicare dalla levata di scudi venuta a stretto giro ai tre partiti di governo,Di «comica e surreale lite nella maggioranza» parla il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani. «Leo è in stato confusionale, redarguito da Meloni per aver fatto uscire un decreto sul redditometro due settimane prima delle elezioni, invece che due settimane dopo», recita una nota di IvLa frittata in ogni caso è fatta. Palazzo Chigi cerca di stemperare:
«Il viceministro Maurizio Leo ha concordato con la presidenza del Consiglio di relazionare al prossimo Consiglio dei ministri in merito al contenuto del decreto ministeriale 7 maggio 2024 che introduce limiti al potere discrezionale dell'Amministrazione finanziaria di attuare l'accertamento sintetico». Intanto, la nota del governo fa sua la spiegazione venuta da Leo, mostrando di averla concordata con lui: «L'emanazione del decreto, stabilita dal governo Conte 1 ma mai attuata, era attesa da più di sei anni per regolare l'effettivo superamento del cosiddetto Redditometro».