Un intervento netto, arrivato proprio nel momento in cui la polemica stava superando il livello di guardia: «Per il ministero dell’Economia c’è immutata stima nel direttore Rossella Orlandi, l’Agenzia delle entrate svolge un ruolo cruciale nella lotta all’evasione ». Una nota del Tesoro, dettata rigo per rigo da Pier Carlo Padoan, spacca in due una giornata che stava diventando politicamente pericolosa, perché il governo rischiava di apparire, minuto dopo minuto, come la controparte di chi lotta contro l’evasione. Ad aprire il fronte, e alla fine a uscirne ridimensionato da Mef e Palazzo Chigi, è il sottosegretario all’Economia e segretario di Scelta civica Enrico Zanetti. In una intervista Zanetti aveva di fatto invocato le dimissioni di Orlandi alla luce delle sue critiche all’esecutivo. «Se continua a esternare il suo malessere e a dire che l’Agenzia muore, deve trarne le conseguenze. Così non ci può essere leale collaborazione con il governo che l’ha nominata», affonda il leader degli 'ex montiani'. Il quale poi aggiunge di esprimere questa opinione per conto dell’esecutivo. Sono parole che scatenano la bagarre. Sel e sinistra Pd partono a testa bassa, Roberto Speranza chiede a Padoan di chiarire se il Mef sta con Zanetti o con chi combatte l’evasione. L’accusa, implicita ed esplicita, è quella di favorire 'il nero' anziché combatterlo. E la prova sarebbe, ad esempio, misure come quelle che innalzano a 3mila euro il limite del contante. Una vicenda scivolosa, che Padoan, in sintonia con Renzi, chiude con una lunga nota istituzionale in cui elenca tutti i provvedimenti anti-evasione del governo, dalla delega tributaria agli accordi con i paradisi fiscali, dal rientro dei capitali all’incrocio di dati informatici, sino alla dichiarazione dei redditi on line. Ma ciò che conta è l’attestato di stima a Orlandi e alle Entrate, l’impegno a «salvaguardare le competenze consolidate dal personale e dalla dirigenza delle Entrate», l’esaltazione dello «spirito di dedizione lontano dai riflettori», il lavoro in corso per il «rafforzamento organizzativo e operativo dell’Agenzia». Parole alle quali Orlandi risponde riprendendo il lavoro ordinario e convocando il board dell’Agenzia per confermarne la riorganizzazione (55 dirigenti in meno): il segnale che la bufera è passata e lei va avanti. Tra Padoan e Orlandi c’è stato dunque un chiarimento. Le esternazioni della direttrice delle Entrate, scelta a giugno 2014 da Renzi in persona, sono state archiviate come uno «sfogo» per aver dovuto gestire una situazione di stress legata alla sentenza della Consulta che ha demansionato diversi dirigenti arrivati ai vertici dell’ente senza vincere un concorso. Ma è chiaro che il malessere di Orlandi è legata anche all’innalzamento della soglia del contante, che però l’esecutivo difenderà anche durante l’iter della legge di stabilità in Parlamento. Anche il premier, dal Sudamerica, ci tiene a ribadire che «questo governo, dopo anni di convegni, ha svoltato sulla lotta all’evasione grazie all’innovazione tecnologica, con un clic abbiamo ricordato a 220mila italiani che si sono dimenticati di pagare le tasse. Con un clic, non con la faccia feroce». Alla fine resta il problema nella maggioranza con Scelta civica (che però ha solo un gruppo alla Camera, dove il Pd è autosufficiente). Dopo la nota del Mef Zanetti chiede un «chiarimento politico» a Renzi e Padoan. Ma poi i toni si smorzano, Zanetti afferma che il Tesoro, elencando i risultati dell’esecutivo, in fondo gli dà ragione. È anche un modo per tacitare voci di sue dimissioni da sottosegretario o di uscita del partito dalla maggioranza. Propositi che Zanetti non ha maturato.