Coronavirus. Viaggio a Bresso, il paese dove il "tutto chiuso" è già arrivato
La piazza Giovanni Paolo II di Bresso
Il capannello di una ventina di persone che si ritrovava nella piazza davanti alla chiesa dopo la Messa delle 9 non c’è più da settimane, ormai. Ma ora il centro di Bresso pare davvero quello di una cittadina fantasma: strade vuote come nemmeno a Ferragosto, parchi chiusi e deserti, piste ciclabili sgombre. Lunghe file solo ai supermercati, dove si entra uno alla volta e le coppie vengono rimandate indietro o multate. E’ l’effetto dell’ulteriore stretta decisa giovedì sera dal sindaco Simone Cairo per cercare di contenere i contagi da coronavirus. Quelli che, nella cittadina di 26mila abitanti alle porte di Milano, hanno raggiunto livelli preoccupanti con (almeno) 103 positivi e già 17 vittime.
Il sindaco di Bresso Simone Cairo - Francesco Riccardi
Numeri che in realtà andrebbero riconsiderati, perché i casi di positività registrati ufficialmente sono solo quelli di persone sottoposte a tampone negli ospedali o gravemente sintomatiche, mentre manca la percezione di quante presentano sintomi lievi o nulli del virus. “Tra i miei pazienti ne ho 8 positivi, “certificati” da tampone - spiega un medico di famiglia di Bresso -. Ma sono sicuro al 99% che almeno un’altra ventina, entrati in contatto con loro e oggi in isolamento domiciliare, presentino sintomi di Covid-19 più leggeri, senza che i loro casi siano registrati”. Il che farebbe pensare a un numero di contagiati almeno tre, quattro volte superiore e a un tasso di letalità non al 17 ma più realisticamente tra il 4 e il 6%.
Le ulteriori restrizioni decise a Bresso - che anticipano quelle che probabilmente saranno stabilite dal governo nei prossimi giorni - riguardano il divieto di effettuare qualsiasi attività sportiva all’aperto, di passeggiare e stazionare nei parchi e in tutti i luoghi pubblici, di sedersi sulle panchine, di girare in bicicletta se non per raggiungere il posto di lavoro. E ancora, la limitazione a una persona per gli acquisti di farmaci e generi alimentari, l’ingresso di non più di due persone nelle aree cani e l’obbligo di portare gli animali nello spazio più vicino a casa.
Un’ordinanza, questa, anticipata giovedì sera sui social da un perentorio “Ora basta!” del sindaco stesso. “E’ stato necessario farlo - spiega Simone Cairo - perché nei giorni scorsi ancora troppe persone giravano per la città: qualche ragazzo, persone che correvano, si allenavano o passeggiavano nelle aree verdi cittadine e soprattutto, devo dire, pensionati, quelli più a rischio. Su 102 controlli stradali, poi, la polizia locale ha denunciato 18 persone perché violavano le norme stabilite dal governo”.
Bresso la piazza davanti al circolo Libertas - Francesco Riccardi
Troppa indisciplina, dunque, in un comune che prima di altri nell’area metropolitana milanese ha compreso la gravità del fenomeno e le cui autorità si sono mosse subito con rigore: prima con un appello e poi con ordinanze per chiudere bar, centri aggregativi, negozi con beni e servizi non di prima necessità, fino ai mercati rionali.
Ma nonostante tutto ciò, Bresso sta pagando un tributo di vite umane e diffusione del contagio molto più alto rispetto ad esempio ad altri comuni limitrofi - Cinisello o Sesto san Giovanni - che pure hanno una popolazione tre, quattro volte maggiore. E così proprio ciò che è accaduto in questo comune di poco più 2 chilometri quadrati può aiutare a comprendere meglio la genesi del contagio e il suo diffondersi rapido, può offrire elementi per una stima più reale dei casi positivi e della loro evoluzione.
Il parco Rivolta a Bresso - Francesco Riccardi
Sul tema della salute, Bresso ha sviluppato un’attenzione particolare dopo due epidemie di legionella, l’ultima delle quali nel 2018 ha provocato 5 morti. Così, quando a febbraio sono arrivate le notizie del diffondersi del Covid-19 in Cina, comune e medici di famiglia hanno cominciato a confrontarsi. “Almeno da metà febbraio avevo notato alcuni casi di febbre e polmoniti anomale - racconta la dottoressa Carmela Apicella -. Quando poi abbiamo avuto la certezza del primo contagio da coronavirus, abbiamo riconsiderato alcuni casi, tracciando movimenti e stato di salute dei malati”. Il “paziente zero” di Bresso viene così individuato in un uomo del limitrofo quartiere Niguarda di Milano, che però è solito venire a Bresso a giocare a carte nello “storico” circolo Libertas. Ed è questo l’elemento che più di altri spiega la forte diffusione del virus nel piccolo comune. Il circolo è infatti frequentato prevalentemente da anziani - i più esposti alla malattia - ma in particolare da persone che nonostante gli anni hanno una vita sociale ancora intensa e attiva. Anche nel volontariato. Tanto che i casi successivi si sono registrati nel centro sociale anziani, animato fra gli altri anche da alcuni frequentatori del “Libertas”, poi ancora in una cooperativa e via via nel resto della città.
Paradossalmente, così, Bresso “paga” non tanto il fatto di essere densamente abitata, ma quello di contare un numero di anziani relativamente alto e soprattutto di possedere un tessuto sociale vivo. A dispetto della fama di satellite-dormitorio della metropoli, infatti, la cittadina conserva ancora i tratti costitutivi del paese che fino al 1950 contava appena 5mila abitanti e che negli anni ‘60 e ‘70 del Novecento ha più che quintuplicato la sua popolazione creando, all’inizio non senza difficoltà, un amalgama particolare dalle tante diversità. L’impegno nel volontariato, l’animazione di 5 centri culturali, le decine di associazioni e l’impegno delle tre parrocchie sono una ricchezza che anche oggi si rivela preziosa.
Pista ciclabile a Bresso - Francesco Riccardi
La risposta più importante al dramma del coronavirus, oltre all'azione decisa del sindaco, è stata infatti l’iniziativa concordata tra il comune, le parrocchie e le organizzazioni di volontariato di rilanciare il fondo “Adotta una famiglia” allargandone l’azione non solo ai nuclei più poveri, ma anche a quanti, malati o in isolamento, necessitano di un sostegno.
“La risposta è stata immediata: in 5 giorni sono arrivati 15mila euro - testimonia il parroco don Angelo Zorloni -. Così ora i giovani dell’oratorio, in sicurezza e coordinati dal diacono permanente, provvedono a fare i pacchi con generi alimentari e prodotti per l’igiene, mentre i volontari di Croce Rossa e Protezione civile si occupano di consegnarli a coloro che non possono fare acquisti”.
Il centro famiglia, da parte sua, ha aperto una linea telefonica per fornire sostegno psicologico a chi è in difficoltà. Perché se oggi ancora troppi “anziani” passeggiano per la città, incuranti di rischi e divieti, è perché il tarlo della solitudine continua a far paura più del coronavirus.