Il caso di Trieste. La condanna dell’anestesista. «Non chiamatela sedazione»
Il caso dell'anestesista condannato in Corte d’assise a 15 anni e 7 mesi (il pm ne aveva chiesti 25), oltre che interdetto dallo svolgimento della professione medica per appena cinque anni, dato che la Corte ha riconosciuto, sì, l’omicidio volontario, ma anche l’attenuante di «aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale»
Accusato della morte di 9 anziani, tra il 2014 e 2018, con iniezioni di Propofol, un forte sedativo. E condannato in Corte d’assise a 15 anni e 7 mesi (il pm ne aveva chiesti 25), oltre che interdetto dallo svolgimento della professione medica per appena cinque anni, dato che la Corte ha riconosciuto, sì, l’omicidio volontario, ma anche l’attenuante di «aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale». È una sentenza destinata a far discutere quella del Tribunale di Trieste per il medico anestesista Vincenzo Campanile.
L’indagine a suo carico si è aperta con la morte, nel 2018, della signora Mirella Michelazzi, 81enne ricoverata in una casa di cura di Trieste, cui Campanile aveva iniettato il farmaco. Da lì è partita la segnalazione dei colleghi e l’Azienda sanitaria ha avviato le ricerche. Andando a ritroso, sono così emersi altri otto casi di pazienti che erano stati trattati da Campanile e che presentavano situazioni simili. La somministrazione del Propofol in un caso, l’ultimo, era stata ammessa dallo stesso medico in una telefonata intercettata. Il movente? «L’espressione di una scelta ideologica». Ovvero, lenire le (presunte) sofferenze dei pazienti. Che la Corte alla fine ha riconosciuto: secondo i giudici, l’ex anestesista si proponeva di accelerare il decesso dei pazienti che soccorreva. «La sentenza è frutto di ponderazione – è stato il primo commento del procuratore Antonio De Nicolo –. La Procura è comunque rimasta sorpresa per il riconoscimento di quella particolare attenuante, meditiamo se proporre impugnazione». La vicenda, dunque, finirà quasi certamente in appello. «È stato un processo molto difficile, complicato - ha osservato l’avvocato di parte civile Antonio Santoro, che rappresenta le famiglie di quattro vittime – in queste aule sono passati molti testimoni, tanti medici. La Corte di Assise si è vista dover fare valutazioni anche a carattere scientifico. Sicuramente le difesa presenterà appello e poi i parenti delle vittime, se la sentenza verrà mantenuta, potranno rivolgersi al giudice civile per vedersi risarcire il danno».
Critico il medico, bioeticista e presidente del Movimento Scienza e Vita Trieste, Paolo Pesce: «Negli anni il collega diceva di aver attuato la sedazione palliativa, creando confusione nelle persone – spiega –. Ma la sedazione palliativa è una cosa lecita, è una scelta concordata tra il medico ed il paziente negli ultimi giorni della sua vita quando le situazioni di sofferenza ormai non sono più sostenibili». A parere di Pesce questa tragica vicenda dimostra che «si rischia di tornare al paternalismo medico, per cui il medico decide della vita e della morte del paziente. Il fine della vita per gli anziani è certamente complesso e difficile, ma la soluzione non è mai uccidere le persone, ma alleviare i sintomi che possono avere. Accompagnare alla buona morte i pazienti non vuol dire accelerare la morte, assolutamente, significa aiutarli a morire serenamente, alleviando i sintomi, non abbandonando mai nessuno».