Attualità

Ventimiglia confine caldo. Migranti, quel bivio tra morte e paradiso sopra Mentone

Paolo Lambruschi, inviato a Ventimiglia (Imperia) sabato 9 ottobre 2021

La freccia che indica la Francia

I primi afghani evacuati alla fine dello scorso agosto da Kabul sono già arrivati a Ventimiglia. Sono un nucleo famigliare con due bambini ancora choccato per la fuga che non voleva restare nel nostro Paese. Li ha accolti lo storico centro Caritas accanto alla ferrovia in via San Secondo. Poi hanno proseguito per la Francia.

Dopo un’estate con circa 5.000 passaggi monitorati, i respingimenti viaggiano al ritmo di 100 al giorno circa. Nelle strade cittadine la presenza di gruppi di ragazzi mediorientali e subsahariani in attesa di provare a passare è discreta, ma costante. Dormono in spiaggia o lungo le rive del fiume Roja finché il tempo lo consente. Prima o poi si passa, anche se la polizia italiana sgombera spesso.

«Abbiamo visto 1.400 persone a settembre – afferma Maurizio Marmo, responsabile di Caritas Intemelia, punto di riferimento da anni dei transitanti per generi di prima necessità e assistenza legale e sanitaria–, i sudanesi sono un quarto del totale, poi tunisini, afghani, un decimo, e somali. Molti vengono dalla rotta balcanica o dai centri di accoglienza dopo gli sbarchi in Sicilia e Calabria. Ci aspettiamo altri afghani con la stagione fredda».

Il professore Enzo Barnabà - P.L.

«Dopo la chiusura del campo Roja più di un anno fa è aumentata l’insicurezza, ma creano più problemi i passeur – commenta Costanza Mendola, operatrice socio-legale della Diaconia Valdese che lavora con Caritas in un progetto di assistenza e monitoraggio ai confini finanziato da Acri – i quali a loro volta sono migranti qui da anni. E al confine la durezza della polizia francese non è cambiata nemmeno con i minori soli».

L’elenco è il solito. Modi rudi con gli adulti, donne costrette a dormire con i maschi nei container della stazione di Mentone, nessun riguardo per mamme e bambini. Quasi impossibile passare in treno, allora i monopolisti del confine sono di nuovo i passeur nordafricani, appostati vicino alla stazione o sotto il ponte sul fiume. Chiedono da 100 a 300 euro a testa per un viaggio in auto o camion, preferito da afghani e curdi. Chi non ha soldi tenta di raggiungere la Francia a piedi su diversi sentieri.

Camminiamo su uno dei più noti, quello che dalla frazione di Grimaldi porta a Mentone verso il «Passo della morte» con Enzo Barnabà, appassionato storico ventimigliese che sa legare con storie antiche e aneddoti recenti i vari decenni di cammini sui sentieri di frontiera proibiti. Davanti a noi, sulla cima, la roccia della Giraude divide i confini e nasconde il segreto del passaggio in Francia.

Il sentiero dei migranti - P.L.

«Chi gira a sinistra finisce nel Passo della Morte – spiega Barnabà, mostrandomi una vecchia mappa disegnata nel 1939 dall’ebreo meranese Robert Baruch con le istruzioni corrette per chi voleva fuggire in Francia dalle leggi razziali fasciste –, dopo alcuni metri il sentiero si interrompe e si cade nel burrone proprio sopra il ponte san Luigi. Di notte è facile sbagliare se non si conosce la strada. L’ultima vittima è stato un ragazzo sudanese precipitato quattro anni fa. Qualche settimana fa un altro è stato salvato dai vigili del fuoco francesi». La salvezza si trova a sinistra della Giraude. Chi svolta lì finisce nel passo del Paradiso e scende tranquillamente in Francia anche se può imbattersi nei militari della Legione. I controlli sono capillari fino a Nizza». Il sentiero, battuto negli ultimi 100 anni da emigrati italiani e da profughi di tutte le nazionalità, è stato pulito un mese fa, ma è già pieno di indumenti, scarpe, bottigliette di minerale con sconosciute marche slave e tubetti di dentifricio. Spesso a terra con biglietti ferroviari e fogli di via si ricostruiscono storie dolorose e lontane.

La Giraude - P.L.

«Se ne liberano prima di attraversare – spiega l’autore di vari saggi di storia locale – per non sembrare migranti quando arrivano in Francia». Lungo il tragitto tracce di bivacchi si trovano nei casolari abbandonati dove vivono i passeur. «Che come pagamento da chi non ha nulla pretendono la prostituzione maschile o femminile – conclude Enzo Barnabà – o lo spaccio. Gente fuggita dall’inferno libico finisce così all’inferno a Ventimiglia». Sui muri delle case della Gina, micro borgo abbandonato da decenni, si leggono le scritte di tanti disperati. All’esterno gli scout hanno indicato con la vernice la direzione giusta che porta in Francia.

Vorrebbe seguirla Souphienne, nome di fantasia, giovane papà libanese diretto in Belgio con moglie e due bambini di sei e due anni. Il più grande ha la febbre per una notte all’addiaccio tentando di passare finita con un respingimento duro. Sono i primi ospiti in fuga dal paese dei cedri della casa di transito per nuclei e donne sole della diocesi con 12 posti letto, affacciata sul nuovo porto costruito dai monegaschi sotto la città vecchia di Ventimiglia. In 10 mesi ha accolto 341 nuclei e circa 1.000 persone. «Abbiamo pagato 10.000 dollari per partire in quattro – racconta – da un porto vicino alla Siria. Il Libano è al collasso, non si trova nulla nei negozi. Voglio raggiungere in Belgio mio fratello per dare un futuro ai bambini». Dalle finestre la vista è splendida sul mare, le belle case di Mentone e i palazzi lussuosi di Montecarlo. Morte e paradiso, miseria e ricchezza si scontrano sempre in questo passaggio ligure a nordovest.