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Migranti. Libia, i trafficanti approfittano del caos: la tratta dei poveri sui canotti

Nello Scavo martedì 2 giugno 2020

Un barcone in legno nel Canale di Sicilia

Nella flotta di navi a perdere messe in mare dai trafficanti libici sono tornati barconi in resina e i gusci di legno marcio. E’ una questione di mercato. Sui canotti che invariabilmente cominciano a sgonfiarsi dopo le prime ore di navigazione continua a vedersi un gran numero di subsahariani. I più disperati e poveri. Chi può pagare di più, specialmente bengalesi e nordafricani, viene ammassato su natanti in apparenza più resistenti.

Il 2 giugno 77 stranieri sono stati intercettati dalla Guardia di Finanza che li ha trasbordati su una motovedetta diuretta a Lampedusa. Fra loro anche sedici minori. Lunedì sera sull’isola ci sono stati altri tre “micro sbarchi”, come li chiamano le autorità, per un totale di 23 migranti. Secondo Alarm Phone il barcone individuato nella tarda mattinata sarebbe quello monitorato da ieri quando era in acque Sar maltesi e di cui stamane, intorno alle 7, si erano perse le tracce quando era ormai in acque italiane, al largo di Lampedusa. "Crediamo quindi - afferma l’organizzazione - che le persone che ci hanno chiamato siano sopravvissute alla traversata del Mediterraneo e siano al sicuro. Siamo lieti che siano sfuggiti alla guerra e alle torture in Libia".

Il teorema del pullman factor, secondo cui la presenza in mare delle navi umanitarie avrebbe fatto da calamita per i migranti, dopo essere stato smentito da tutte le ricerche e financo dai tribunali che hanno cavalcato gli attacchi politici alle Ong, è miseramente affondato nelle ultime settimane. Dalla Libia e dalla Tunisia le partenze si sono quadruplicate, proprio nei giorni in cui le navi di soccorso vengono bloccate dai provvedimenti del governo italiano. In compenso crescono i cosiddetti sbarchi spontanei e il numero di quanti, una volta raggiunta la terraferma, riescono a dileguarsi facendo perdere le tracce.

Mentre i riflettori sono puntati sulla pandemia, molti Stati ne hanno approfittato per regolare vecchi conti. Così la Grecia ha intensificato i respingimenti verso la Turchia, Malta continua nella sua intesa con le autorità libiche perché i migranti catturati in mare vengano restituiti agli aguzzini, e l’Italia che non è da meno continua a limitare il pattugliamento navale restando in contatto con la cosiddetta Guardia costiera libica e lasciando campo libero a Malta e Tripoli per la quasi totalità del Canale di Sicilia.

A Tripoli si assiste alla solita tragicommedia dei colloqui di pace che preludono a nuove escalation. Il governo di accordo nazionale, guidato dal Fayez al Sarraj e il sedicente Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar, hanno concordato di riprendere i colloqui per giungere ad un cessate il fuoco. Lo ha reso noto la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) affermando “che il ritorno delle due parti al dialogo è una risposta al desiderio e alle chiamate della stragrande maggioranza dei libici che sono desiderosi di tornare a una vita sicura e dignitosa il più rapidamente possibile".

A preoccupare è anche l’alto numero di bengalesi in Libia. Un fenomeno solo parzialmente spiegabile con la guerra libica che sta costringendo molti asiatici che si trovavano nel Paese per lavoro a trovare un riparo all’estero. Un gruppo di 26 persone originarie del Bangladesh era stato sterminato la scorsa settimana in una prigione clandestina fuori Tripoli. I migranti si erano ribellati alle sessioni di torture uccidendo uno degli aguzzini. Poche ore dopo era scattata la rappresaglia del clan. E proprio in Bangladesh è stato arrestato il presunto trafficante bengalese che organizzò il viaggio in Libia, in una zona controllata da Khalifa Haftar. Si tratta, riporta il Daily Star, di Kamal Uddin alias Haji Kamal, 55 anni, accusato di aver organizzato un traffico di almeno 400 esseri umani fino alla Libia negli ultimi anni.

Dalle indagini e dai racconti dei sopravvissuti alla strage è emerso che il trafficante si faceva pagare dalle famiglie delle vittime una parte del riscatto, quando queste erano sequestrate e torturate nelle prigioni libiche. Poi trasferiva parte del denaro ai boss libici. Le transazioni troverebbero conferma in un libro contabile sequestrato all’uomo. La rotta utilizzata per raggiungere l’Europa, in treno, aereo, bus, tir, alternando viaggi legali con altri illegali, parte dal Bangladesh verso Calcutta e Mumbai, in India. Poi Dubai, Il Cairo, da qui a Bengasi, in Libia, dove i torturatori filmano le violenze, inviando i video al trafficante bengalese che a sua volta le mostra alle famiglie delle vittime affinché paghono il riscatto. Tappa dopo tappa, con soste per periodi di lavoro necessari a finanziare la tratta successiva, i bengalesi avrebbero versato circa 9 mila euro ciascuno.