Il caso Lodi. «I social? Si metta ordine. I giornalisti non siano succubi»
Giovanna Pedretti
Un giornalista che addossi agli influencer e alla rete la responsabilità di quel che è successo a Giovanna Pedretti somiglierebbe a quel bue che dava del cornuto all’asino: in questa vicenda tristissima, i professionisti dell’informazione sono andati a rimorchio dei professionisti della chiacchiera.
Una dimostrazione di superficialità che non fa onore alla categoria. Un episodio marginale è stato trasformato in una questione nazionale. Con tragico epilogo. Può bastare appellarsi al diritto di cronaca?
Esiste un principio di proporzionalità che va applicato quando si esercita il diritto di cronaca, in questo caso del tutto trascurato. Ma distinguerei tra le due cose. Da un lato – spiega Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica – è sempre più evidente che serve mettere ordine nella giungla della rete. Non può esserci licenza di dire qualsiasi cosa, di discutere barbaramente di temi frivoli, di dare la stura alla ferocia verso il prossimo. L’altra riguarda i giornalisti che dovrebbero avere ben chiaro che il diritto di cronaca consiste nella narrazione dei fatti. E quei fatti dovrebbero essere verificati. Al contrario, sempre più spesso i giornalisti pescano a piene mani dai social, finendo per riproporre contenuti superficiali, alimentando la moltiplicazione dell’inutile o, peggio, del dannoso. Come è successo con il caso di questa donna, alla fine suicida. Un nesso c’è con quel che le è stato rovesciato addosso, anche se cosa sia scattato nella sua mente non lo sapremo mai con certezza. I giornalisti dovrebbero essere i cani da guardia di questo sistema, invece di esserne succubi.
Non c’è speranza?
Qualche iniziativa dovrebbero prenderla i consigli di disciplina. Possono intervenire sanzionando chi se lo merita, altrimenti ci sarà chi si convince che tutto sia lecito.
Giornalisti e no.
Questa è un’altra grande questione. Se i giornalisti vogliono marcare la differenza dai non-giornalisti che affollano la rete devono dimostrare sul campo questa diversità. Prima di tutto rispettando rigorosamente, e orgogliosamente, la deontologia, che mette al primo posto il rispetto delle persone. Poi, facendo il loro lavoro, raccontando i fatti, verificando ogni parola. Se il valore aggiungo non c’è...
Ai quotidiani e ai telegiornali difettano lettori e ascoltatori: non pensa che tanta accuratezza rischi di passare inosservata?
Il rischio esiste, vista la sproporzione del pubblico, mentre sono milioni le persone che leggono gli sproloqui in rete, molte meno si informano attraverso i tradizionali canali di informazione. Anche se avessimo una classe giornalistica all’altezza, il problema dei social resta.
Dobbiamo arrenderci al chiacchiericcio?
Dobbiamo pretendere più regole per i social. Non è solo una questione legislativa, le leggi non bastano senza il buon senso.