I sentieri nascosti per la pace /2. Il varco nel muro della violenza
C’è qualcosa che permette di resistere e continuare a sperare nell’inferno della guerra? C’è qualcosa a cui guardare per non soccombere al dolore? C’è Qualcuno. C’è Uno. Uno che ha offerto la vita in sacrificio per gli uomini, per tutti gli uomini.
In questi giorni a Gaza, nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, i fedeli, impastando la poca farina rimasta a disposizione, fabbricano le ostie destinate alla celebrazione eucaristica. Persone segnate dalla sofferenza preparano le particole che diventano Corpo di Cristo, sacramento di salvezza e di riconciliazione. Quello di Gaza, guidato dal parroco padre Gabriele Romanelli, è uno dei “laboratori eucaristici” promossi dalla Casa dello Spirito e delle Arti, la fondazione presieduta da Arnoldo Mondadori che in tante parti del mondo ha avviato la produzione delle ostie con il progetto “Il senso del pane”.
L’esistenza di chi opera in questi laboratori porta impressi nella carne i segni della fragilità: a Buenos Aires sono giovani usciti dalla tossicodipendenza, in Etiopia ex ragazzi di strada, in Sri Lanka donne vedove e ragazze in condizioni di povertà estrema, a Betlemme e Pompei persone con disabilità fisica e psichica. A Milano, nel carcere di Opera, ho conosciuto detenuti condannati per gravi reati che si cimentano in questo lavoro: mani che hanno ucciso, mani sporche di sangue fabbricano le particole destinate a diventare il Corpo di Colui che ha versato il proprio sangue per redimere le colpe di chi ha sbagliato.
È qualcosa di misterioso e di vertiginoso, che trova significato nella fede e racconta la grandezza del sacrificio eucaristico. Un sacrificio che è segno di salvezza e di riconciliazione, quella riconciliazione tra i popoli che oggi nella Terra Santa appare così lontana da essere considerata irraggiungibile, che però è l’unica autentica premessa perché la fine dei combattimenti non sia una parentesi illusoria ma diventi preludio di una nuova stagione all’insegna della pace.
È un paradosso della storia e insieme un segno profetico che proprio dai cristiani, minoranza esigua in quelle terre, venga un messaggio di speranza per tutte le genti che la abitano. E quel piccolo laboratorio che a Gaza produce le ostie mentre nella Striscia risuonano rumori di morte è una fiammella che si accende nel buio della guerra per dire al mondo che il male non è l’ultima parola sull’esistenza, perché c’è Uno che l’ha sconfitto.
È la testimonianza muta e potente che nessuna avversità può impedire alla misericordia divina di abbracciare la fragilità umana, di aprire un varco nel muro della violenza e di penetrare nel cuore degli uomini. Anzi, è proprio la fragilità che diventa il veicolo attraverso il quale la misericordia ci raggiunge.
Come è accaduto nella notte di Betlemme, quando un Bambino è venuto tra noi per farci conoscere un amore senza limiti e senza condizioni, l’amore di Dio.
Come recita un brano del cantautore americano Leonard Cohen: «Suona le campane che ancora possono suonare. Dimentica la tua offerta perfetta. C’è una crepa in ogni cosa: è così che entra la luce».