Attualità

L'esodo degli ultimi. Balcani, continua la gelida vergogna

Nello Scavo, inviato a Maljevac (Croazia) domenica 17 gennaio 2021

Migranti che si allontanano dal campo profughi di Lipa, distrutto da un incendio

Il muro di neve e filo spinato che ha fatto dei respingimenti il biglietto da visita del Vecchio Continente comincia a dover fare i conti con i tribunali. E nel mirino c’è anche Frontex. Gli uffici del direttore dell’Agenzia Ue per le frontiere sono stati perquisiti su ordine di Olaf, il servizio antifrode di Bruxelles. Il motivo è sempre lo stesso: la caccia ai migranti e le deportazioni forzate fuori dall’Unione europea. Intanto negli accampamenti in Bosnia vengono distribuite scarpe, coperte, tende, detergenti.

Ma non c’è acqua calda, e non resta che scendere al fiume e provare a sciacquarsi tra i rivoli ghiacciati. E mentre il gelo mortifica i passi dei migranti intrappolati lungo la rotta balcanica, dai palazzi di giustizia giungono pronunciamenti che mettono in imbarazzo gli Stati. A Lubiana la corte amministrativa ha condannato l’accordo di riammissione tra Slovenia e Croazia, dove vengono riaccompagnate le persone, anche richiedenti asilo, intercettate dalle forze dell’ordine nel Paese.

Per il giudice si tratta di espulsioni collettive illegali, specie quando lo straniero manifesta l’intenzione di chiedere protezione internazionale. L’organizzazione umanitaria “Infokolpa”, che aveva promosso l’iniziativa legale, sostiene che «solo l’anno scorso erano più di 10 mila le persone respinte».

Le mappe degli ingressi in Europa elaborate con dati Unhcr e Frontex - .

Nei primi sei mesi del 2019 il ministro dell’Interno sloveno ha riferito di aver trasferito 3.459 stranieri in Croazia secondo gli accordi di riammissione esistenti. Ma di dati affidabili e recenti non ve ne sono. Forse presagendo i verdetti della magistratura, Lubiana sta correndo ai ripari, accelerando sulla costruzione di una barriera metallica che bloccherà vari passaggi, per un totale di 40 chilometri. A ottobre era stato un giudice croato di Karlovac ad assolvere una mezza dozzina di richiedenti asilo afghani entrati illegalmente nel Paese. Nonostante il pronunciamento, il gruppo sparì dalla Croazia per riapparire un paio di giorni in Bosnia, piuttosto malconci, ugualmente riaccompagnati oltre confine dalla polizia.

Tra gennaio 2019 e gennaio 2021 i volontari del “Border violence monitoring” hanno raccolto le testimonianze di 4.340 persone respinte in Bosnia, 845 delle quali con l’uso di armi a scopo intimidatorio e offensivo. Frequentemente, denunciano organizzazioni umanitarie e medici nei campi profughi, vengono utilizzate anche unità cinofile e non di rado le ferite riportate dai migranti respinti sono compatibili con il morso dei cani. Le operazioni di allontanamento spesso avvengono nella piena consapevolezza di Frontex, l’agenzia Ue per la protezione dei confini esterni.

L’Ufficio europeo antifrode (Olaf) ha aperto una indagine amministrativa e il 7 dicembre, si è appreso ieri, ispettori di Bruxelles hanno anche perquisito l’ufficio del direttore Fabrice Leggeri e del suo vice. «L’Olaf può confermare di aver avviato un’indagine su Frontex. Tuttavia, poiché un’indagine è appunto in corso, non può rilasciare ulteriori commenti. Ciò – si legge in una nota – al fine di tutelare la riservatezza delle indagini in corso ed eventuali successivi procedimenti giudiziari». L’inchiesta è partita dopo diverse denunce sui respingimenti operati in Grecia, sia sulla frontiera terrestre che nel mare Egeo verso la Turchia, che hanno visto impegnati anche ufficiali dell’Ue.

Il crescente potere dell’agenzia e del suo direttore da tempo è motivo di preoccupazione anche politica. Le risorse comunitarie destinate a Frontex sono passate dai 6,3 milioni di euro nel 2005 a 333 milioni nel 2019 e nei prossimi anni potrebbero superare il mezzo miliardo. Sul comportamento di Frontex stanno indagando, inoltre, almeno due procure italiane che hanno acquisito atti relativi ad alcune stragi di migranti nel Canale di Sicilia.

Migranti afghani nel campo profughi di Bihac, in Bosnia Erzegovina / - Matteo Placucci / Ipsia - Caritas

A rincarare le accuse è arrivato ieri il dossier di “Rivolti ai Balcani”, la rete di organizzazioni italiane che monitora cosa accade sui nostri confini. I ricercatori hanno utilizzato tra i riferimenti il dossier sull’immigrazione della Migrantes, l’organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana secondo cui a causa dei «processi di esternalizzazione l’Europa unita ha trovato il modo, costoso, di spostare il problema dei migranti sulle spalle di Paesi che – si legge nel report – si trovano in difficili transizioni democratiche, credendo così di poter nascondere la polvere sotto il letto».

Dal primo gennaio al 15 novembre 2020, annota “Rivolti ai Balcani”, il nostro Paese ha “riammesso” in Slovenia 1.240 persone, a loro volta respinte a catena fino al territorio bosniaco: «Si tratta di numeri impressionanti, specie se confrontati con quanto accaduto nello stesso periodo del 2019, quando furono “solo” 237 (significa più 423%)». Le cifre fornite dagli Stati, però, non sono verificabili.

Ai migranti respinti non viene rilasciato alcun documento e, nei rari casi in cui ciò avviene, non se ne trovano molte tracce nei Paesi da cui sono stati cacciati. Perciò le difformità statistiche sono un dato di fatto. I numeri, però, sono esseri umani. Secondo il Danish refugee council (Drc) «oltre 1.100 uomini, donne e bambini hanno riferito di aver subito respingimenti da dalla Croazia alla Bosnia ed Erzegovina nel solo mese di novembre 2020».

Cifre che indicano come «i respingimenti continuano a essere sistematicamente utilizzati come strumento di gestione dei confini nonostante siano illegali», aggiunge il Drc. Il 24 luglio 2020 il ministero dell’Interno italiano, rispondendo a una interpellanza urgente del radicale Riccardo Magi, aveva confermato che le riammissioni vengono applicate «anche qualora sia manifestata l’intenzione di chiedere protezione internazionale», ricorda “Rivolti ai Balcani”. In quella circostanza il sottosegretario Achille Variati aveva precisato che “le procedure informali di riammissione in Slovenia vengono applicate nei confronti dei migranti rintracciati a ridosso della linea confinaria italo-slovena, quando risulti la provenienza dal territorio sloveno, anche qualora sia manifestata l'intenzione di richiedere la protezione internazionale, ad eccezione delle persone appartenenti alle categorie dei cosiddetti vulnerabili e dei soggetti che risultino registrati nel sistema Eurodac, avendo questi già presentato richiesta di protezione internazionale in altri Paesi membri".

Rispondendo a un quesito posto dal deputato di Leu, Erasmo Palazzotto, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha spiegato lo scorso 13 gennaio che “le procedure di riammissione tutelano le categorie di stranieri vulnerabili o più esposti ad eventuale pericolo”, e perciò non sono “applicabili a particolari soggetti cioè ai migranti a cui sia stata riconosciuta qualsiasi forma di protezione internazionale, ai minori, alle persone che presentano malattie e agli stranieri registrati al sistema Eurodac", l'archivio europeo per la raccolta e i confronto delle impronte digitali dei richiedenti asilo.

Quanto ai respingimenti a catena dall’Italia alla Slovenia, dalla Slovenia alla Croazia e dalla Croazia alla Bosnia, evocata proprio da Palazzotto, la ministra ha precisato che "la Slovenia aderisce alla Convenzione di Ginevra e che, inoltre, la stessa Slovenia, come la Croazia sono considerati paesi sicuri sul piano del rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Pertanto le riammissioni avvengono verso uno stato europeo, la Slovenia, dove vigono normative internazionali analoghe a quelle del nostro Paese”.