La denuncia dei magistrati. Minori senza giustizia: in bilico le 110mila cause pendenti
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In Italia la sorte di quasi 110mila minori è appesa al giudizio di un tribunale che nessuno sa quando potrà arrivare. Si chiamano “procedimenti pendenti”, ma non si tratta di scartoffie inutili. A Milano ce ne sono 13mila, a Bologna 10mila, a Roma 8mila, a Firenze 5mila, a Napoli altrettanto. Perfino a Bolzano ci sono 760 pratiche che non riescono ad essere evase. Ma dietro ogni fascicolo c’è il volto triste di un ragazzo o di un bambino.
Magari quel piccolo attende di sapere se potrà lasciare la struttura di accoglienza in cui da troppo tempo è rinchiuso per essere accolto da una famiglia adottiva. Magari è stato allontanato da una famiglia che lo maltrattava ed è in attesa di scoprire se i suoi genitori potranno continuare ad avere nei suoi confronti quella “responsabilità genitoriale” determinante per il suo futuro. Magari è un minore straniero non accompagnato che dopo infinite peripezie, deserto, barcone, trafficanti e chissà cosa d’altro, sperava di trovare da noi una sorte migliore rispetto a quella lasciata nel suo poverissimo villaggio africano.
Perché allora, di fronte a queste emergenze esistenziali, tanto più drammatiche vista l’età dei protagonisti, i magistrati minorili non prendono in tutta fretta le relative decisioni? Facile pensare che siano persone insensibili e indifferenti verso i bambini, ma è vero esattamente il contrario.
Il lavoro va a rilento perché in tutti i 29 tribunali minorili italiani mancano decine e decine di giudici, circa un terzo in meno rispetto all’organico stabilito.
Va a rilento perché la digitalizzazione delle pratiche, arrivata solo il 30 giugno scorso, è stata costruita con criteri non ideali per la giustizia minorile e nessuno ha pensato di coordinare il sistema informatico minorile con quello della giustizia ordinaria e dei giudici tutelari. Vedere contemporaneamente il fascicolo di uno stesso minore resta un obiettivo impossibile. Va a rilento, infine, perché ogni decisione che riguarda un minore è percorso delicatissimo. Non basta applicare la legge, occorre capire e prevedere quale conseguenza avrà quella decisione sulla vita di quel piccolo. E qui la giurisprudenza viene integrata dalle scienze umane, psicologia, pedagogia, neuropsichiatria infantile. Sono i giudici “onorari” che affiancano i magistrati e forniscono loro una serie di informazioni importantissime per arrivare a una valutazione quanto più possibile equilibrata e davvero a misura di bambino. Un sistema complesso, certamente, ma che, pur con tutte le lentezze e le carenze legate una burocrazia giudiziaria con tante lacune, ha retto per decenni la situazione, tanto da essere indicato a livello europeo come un modello da imitare.
Entro il 2024 tutto verrà cancellato per far posto al disegno di una riforma - quella che istituisce i nuovi tribunali per la famiglia e per la persona - che non smette di far discutere. Peggio, che non ha alcuna possibilità di essere «concretamente realizzata», come è stato sottolineato nei giorni scorsi dall’assemblea nazionale dei magistrati minorili (Aimmf).
Una sentenza che sembra senza possibilità di appello perché fondata sui dati concreti e osservazioni ragionevoli. Tanto che la stessa responsabile della riforma, l’allora ministro della giustizia Marta Cartabia, di fronte al dossier presentatole un anno e mezzo fa da tutti i 29 presidenti dei tribunali per i minorenni e dai 29 procuratori minorili, aveva riconosciuto la fondatezza degli appunti ma aveva allo stresso tempo confessato l’impossibilità politica di arrestare un progetto già votato e inserito nel Pnrr.
Ma cosa prevede la riforma?
All’assemblea Aimmf l’ha rispiegato in sintesi la presidente Cristina Maggia per decretarne – come detto – l’impossibile attuazione. Come è possibile, per una riforma a costo zero, trovare il denaro necessario per istituire ex novo 140 sedi circondariali in pochi mesi? Si tratta proprio di reperire 140 nuovi edifici, «dal momento che non è per nulla percorribile la strada, forse immaginata ma impraticabile, dell’utilizzo per le sezioni circondariali degli spazi presso i tribunali ordinari, specie laddove la competenza in materia familiare delle sezioni non siano esclusiva. Né appare possibile – ha fatto notare ancora Maggia, che è presidente del tribunale per i minorenni di Brescia, dopo esserlo stato a Genova – collocare la sezione circondariale nella sede distrettuale in ragione della modestia degli spazi occupati al momento dai tribunali per i minorenni». Le sezioni distrettuali, secondo l’impianto della riforma, saranno istituite nelle sedi degli attuali tribunali ma, come già evidenziato, cambieranno le funzioni. Quindi, nelle 29 sezioni distrettuali si continuerà a trattare, con la presenza di giudici onorari, i processi penali minorili, le procedure tese all’accertamento dello stato di abbandono, la ricerca delle origini delle persone adottate, la valutazione delle coppie per l’adozione.
Mentre nelle 140 sezioni circondariali ci sarà un giudice monocratico non specializzato che dovrà valutare, senza il contributo dei giudici onorari, casi di grande complessità come quelli relativi alla sospensione della responsabilità genitoriale, gli allontanamenti dei minori dalla famiglia di origine per maltrattamenti, incuria o abusi, la materia degli affidi familiari, i provvedimenti cosiddetti indifferibili, da prendere cioè con urgenza nell’interesse del minore perché qualsiasi ritardo, per esempio la convocazione delle parti, potrebbe pregiudicarne la sicurezza. Non solo, toccherà sempre al giudice monocratico tutta la materia delicatissima dei minori stranieri non accompagnati. Facile immaginare, di fronte alla complessità di questa ripartizione, un problema di personale, ben più gravoso rispetto all’attuale.
«In base alle norme approvate - ha spiegato ancora Cristina Maggia – il pochissimo personale di cancelleria oggi presente nei tribunali per i minorenni, alla istituzione del nuovo tribunale potrà scegliere se restare o farsi trasferire altrove, così potranno fare anche i giudici delle attuali sezioni famiglia, mentre i giudici minorili, ovunque pochi, resteranno al loro posto».
E cosa succederà ai magistrati attualmente impegnati nelle procure minorili? Resteranno al loro posto ma, oltre a tutti i compiti che già assolvono, si dovranno occupare di tutte le vicende relative a separazioni e divorzi. Una mole di lavoro insostenibile per gli attuali organici delle procure. Ma oltre al problema degli edifici e degli organici, che Maggia ha definito come «imponenti criticità di difficile se non impossibile soluzione da parte del ministero», rimane forse il nodo più complesso, quella della volontà da parte dei magistrati di impegnarsi in una riforma da loro sempre osteggiata.
Come è possibile pensare che per l’organizzazione ex novo di un modello operativo si spendano proprio coloro che non lo condividono e che non sono mai stati consultati prima dell’approvazione della legge? Quindi, cosa succederà?
«Si prevede una fuga dei magistrati dalle sezioni circondariali devastate da una mole di lavoro emotivamente molto pesante – ha ipotizzato Cristina Maggia – senza il conforto del collegio e dei giudici onorari. Saranno interessati a queste sezioni solo colleghi molto giovani, con poca esperienza, animati da una finalità di avvicinamento ai luoghi di origine, e assisteremo ad un pesante turn over che non giova in materie così specializzate».
Insomma, alle gravi difficoltà che già pesano sull’attuale sistema, con tutti i ritardi e le carenze già segnalate, andranno ad aggiungersi quelle di una riforma tutt’altro che esemplare – almeno secondo l’opinione degli addetti ai lavori – che non ha saputo fare i conti con la realtà, con l’impossibilità di reperire nuove risorse economiche e la situazione sociale. Per esempio, le tante lacune presenti nel sistema dei servizi sociali, determinanti per la segnalazione e l’accompagnamento dei minori, come ha mostrato il caso Bibbiano, non verranno assolutamente affrontate. Tutto continuerà come adesso. Quindi?
«Si prevedono anni di grande confusione – ha concluso la presidente dei magistrati minorili – che andranno a scapito soprattutto di quei minori che, già invisibili nell’infanzia, poi inizieranno da adolescenti ad agire la loro rabbia verso il mondo degli adulti che li ha resi oggetto di pensieri e percorsi non autenticamente loro dedicati, nonostante le tante e roboanti».
Da qui l’ultimo, drammatico appello alla politica. È urgente «un significativo rinvio dell’entrata in vigore di questa parte della riforma con l’acquisizione in un tempo congruo dei dati necessari e un pensiero anche organizzativo adeguato». In caso contrario il destino sembra tracciato e parla di un imminente «tracollo della tutela dei minori in Italia».
LA RIFORMA Allontanamento dalla famiglia, già in vigore il nuovo "403"
La riforma Cartabia, per quanto riguarda la fine dei Tribunali per i minorenni e l’istituzione delle nuove sezioni distrettuali (29) e circondariali (140) del Tribunale unico delle persone, dei minorenni e della famiglia, dovrà entrare in vigore entro l’ottobre del prossimo anno. Nel frattempo sono già entrate in vigore parti importanti, come per esempio, il 2 giugno 2022, la modifica del contestato articolo 403 del Codice civile che permetteva di allontanare un minore dalla famiglia di origine, decisione che è ancora possibile ma solo se «i minori si trovano in condizioni di abbandono materiale o morale»; oppure se «si trovano esposti nell’ambiente familiare a grave pregiudizio o grave pericolo per la loro incolumità psicofisica». Adesso si sono tempi più stringenti e una procedura in tre fasi: amministrativa, giudiziale e collegiale. Tutta la riforma poggia su due pilastri: le regole improntate al principio di razionalizzazione e miglior efficienza, e l’aspetto dell’ordinamento, con l’istituzione di un tribunale unico, al fine di garantire unitarietà di giurisdizione. Positivo l’obiettivo di unificare i riti quando vengono coinvolti i membri della famiglia (per esempio grave conflittualità tra genitori in fase di divorzio e abusi sui figli), ma molto critica - come evidenziato da più parti - la decisione di far ricadere tutto sulle spalle di un solo giudice.