Crisi. Letta molla M5s, Brunetta lascia Fi. Partiti al voto tra scissioni e area Draghi
Conte e Letta
Palazzo Montecitorio è una via vai di parlamentari e dirigenti di partito. Tutti in "assemblea permamente": il voto è alle porte, si aspetta solo che Mattarella sciolga le Camere. Ma il quadro è ancora in definizione: il blocco di centrodestra si è riunificato causando la caduta di Draghi, ma ora teme slavine nel centro moderato. Il "campo largo" Pd-M5s ufficiosamente non esiste più, si aspetta solo la sanzione formale degli organi del Pd. Nelle prossime ore M5s e Conte potrebbero vivere nuovi momenti di crisi interna. Al contempo, la cosiddetta area-Draghi sconta ritardi e i dubbi sul futuro politico e nelle istituzioni del presidente del Consiglio.
LETTA: ORA PENSIAMO A NOI, CHI HA CAUSATO LA CRISI RESPONSABILE ALLO STESSO MODO
Il segretario del Pd Enrico Letta in mattinata ha riunito i gruppi, alle 12 ha convocato la segreteria. Ma la rotta è tracciata: "il paradigma è cambiato", ciò che si è rotto "non si aggiusta", ora "pensiamo a noi e a un nuovo sfondamento elettorale del Pd". I partiti che ieri hanno causato la crisi "sono responsabili allo stesso modo, non mi si venga a fare classifiche", dice a chi gli chiede di tenere ancora in considerazione M5s. Ora però i dem devono scegliere: provare a intestarsi la cosiddetta area-Draghi, entrando in dialogo con Calenda, Renzi e Di Maio e provando a tirarsi dietro Leu, oppure provare una corsa solitaria all'insegna della vecchia "vocazione maggioritaria". Letta è confortato da sondaggi che darebbero il potenziale elettorale del Pd al 28-30%, le scelte arriveranno nelle prossime ore. Quanto al rapporto con M5s, si discute anche dell'opportunità di celebrare le primarie, domenica, in Sicilia, per scegliere il candidato alla guida della Regione.
CONTE DIFENDE LE SUE SCELTE. MA ORA SI TROVA TRA DUE FUOCHI. GRILLO: NO A TERZO MANDATO
Anche il gruppo alla Camera di M5s è riunito. Conte difende le scelte degli ultimi giorni, ripete che M5s è stato messo sulla "difensiva", mentre ieri sera aveva definito l'atteggiamento di Draghi "sprezzante". Ma a Montecitorio il leader deve affrontare un folto gruppo di governisti, guidato dal capogruppo Crippa e dal ministro D'Incà. La linea politica si intreccia con il nodo del terzo mandato, che M5s non ha sciolto. Anzi, a quanto apprendono le agenzie di stampa, Beppe Grillo spinge perché il principio dei due mandati venga mantenuto. Una nuova scissione al centro - direzione Di Maio e Pd - è probabile. Ma allo stesso tempo Conte deve guardarsi dai segnali degli 'ortodossi': Danilo Toninelli, in un'intervista, chiede il ritorno di Di Battista. Ma se Conte ancora ambisce a tenere il filo con i progressisti, Di Battista è su tutt'altre posizioni politiche. Insomma, per l'ex premier, una doppia insidia. Per M5s, se svanisse il "campo largo", le ipotesi potrebbero essere la corsa solitaria o una coalizione con le forze di sinistra ed ecologiste, sul modello di Melenchon in Francia.
BRUNETTA LASCIA FI: ORA UN'UNIONE REPUBBLICANA
Dopo Mariastella Gelmini, anche un altro ministro forzista del governo Draghi, Renato Brunetta, lascia Forza Italia. "In realtà é Forza Italia che lascia se stessa", scrive lo storico esponente azzurro, che accusa gli "irresponsabili" che hanno causato la crisi. Brunetta però non lascia la politica: "Mi batterò perché le migliori energie liberali confluiscano in un'unione repubblicana". Il dubbio è su quanti, tra i moderati di Fi, seguiranno Brunetta e Gelmini. Mentre fronte-Lega, dopo gli annunci di tempesta dei "governisti" nei confronti di Salvini, è calato un silenzio tombale.
AREA-DRAGHI, IL CANTIERE E I NODI
Anche Brunetta, dunque, sembra guardare ad un'area-Draghi. Qui già si sono installati, senza però avere alcun patto tra di loro - anzi, abbondano i veti - Carlo Calenda, Matteo Renzi, Giovanni Toti e Luigi Di Maio. Prima della crisi, quando ancora era plausibile l'ipotesi del campo largo di Letta e Conte, l'area-Draghi si configurava come una sorta di terzo polo. Ora, invece, il Pd è tentato di prenderne le fila. Tra litigiosità dei vari leader, differenze programmatiche e poco tempo a disposizione, l'impresa di mettersi insieme è ardua, nonostante la legge elettorale, il Rosatellum, lo imponga. Inoltre, il riferimento a Draghi potrebbe risultare un equivoco: non ci sono al momento segnali di un impegno politico del premier, né di un suo input a fare campagna elettorale evocando il suo nome. Inoltre Draghi, restando per gli affari correnti, dovrà salvaguardare la necessità di trovare, in qualsiasi momento, una maggioranza di servizio per provvedimenti urgenti. E una eventuale instabilità post-voto consiglierebbe di tenerlo ancora al riparo per eventuali nuovi incarichi istituzionali non di parte.