Coronavirus. Lo Ieo: «Vaccinazioni per i malati di tumore? Dimenticati»
Vaccinazioni a Genova
«Ogni giorno riceviamo centinaia di chiamate dai nostri pazienti che ci chiedono quando saranno vaccinati. Non c’è niente di chiaro, le istruzioni che riceviamo sono confuse e contraddittorie. Pare che il 12 aprile ci verranno consegnate le prime dosi per gli 'estremamente fragili', gli unici oncologici considerati dalla Regione Lombardia... Noi siamo pronti, da un mese abbiamo due postazioni che attiveremo non appena avremo i vaccini».
Parola di Fabrizio Mastrilli, direttore sanitario dello Ieo, l’Istituto europeo di oncologia di Milano, fondato da Umberto Veronesi, centro di eccellenza nella cura dei tumori. «Finora non abbiamo ricevuto una sola dose per i nostri pazienti, che sono decine di migliaia da tutta Italia, ma vogliamo essere fiduciosi. Pare che all’Ats di Melegnano (Milano, ndr) sia davvero arrivato uno stock per i nostri gravemente vulnerabili, ma aspettiamo di vederlo...». È tutto un 'pare che' e 'in Regione ci dicono', ciò che i vertici dello Ieo possono riferire a tre mesi e mezzo dal vaccine day di fine dicembre, la data che avrebbe dovuto aggredire la pandemia proprio dai più fragili e invece ha (dove più e dove meno) sprecato le prime centinaia di migliaia di dosi tra categorie privilegiate per qualche misterioso motivo.
E l’ultima circolare arrivata l’altroieri crea ancora più confusione: «Sembra che oltre a vaccinare i pazienti oncologici 'estremamente gravi' dovremo occuparci anche dei caregiver e dei conviventi», rincara la dose Roberto Orecchia, direttore scientifico dell’istituto. «Ma quanti conviventi? Dobbiamo trattare anche coniugi e figli? I quali andrebbero vaccinati non più con Pfizer o Moderna come gli oncologici ma con AstraZeneca, dunque la Lombardia ci manderà tre tipi di vaccino?». Non tutti i pazienti con tumore hanno bisogno di un caregiver come i disabili – obietta il professor Orecchia –, sarebbero più urgenti le badanti degli anziani, ad esempio... Insomma, il caos è ancora totale proprio nel giorno in cui – 9 aprile – nella piattaforma della Lombardia (ora non più gestita dalla famigerata 'Aria' ma da Poste) si apre lo spazio in cui i più fragili si possono iscrivere.
«Ma anche i nostri assistiti? O loro devono aspettare la nostra chiamata? Ce lo chiedono ma non lo sappiamo neanche noi». Ciò che è chiaro da tempo e che la nota del presidente della Regione, Attilio Fontana, ha ripetuto ieri è che «per i pazienti estremamente vulnerabili ospedalieri » la vaccinazione deve avvenire «presso i centri di riferimento delle strutture sanitarie pubbliche e private », ovvero che i malati di tumore verranno immunizzati direttamente nei centri specialistici in cui si curano.
Professor Roberto Orecchia - .
E «gli estremamente vulnerabili in Lombardia sono 294.646 – ha fatto sapere la Regione, considerando tutte le fragilità, non soltanto gli oncologici –. La vaccinazione per loro è stata avviata il 18 marzo nei loro centri di riferimento. In 47.936 hanno ricevuto una prima dose». «A noi le prime dosi le hanno annunciate per il 12 aprile», allarga le braccia Mastrilli, «tra gli almeno 30mila nuovi pazienti che attualmente abbiamo in carico, abbiamo già selezionato 3.800 persone che hanno più urgenza, ma appena avremo coperto loro andremo avanti senza fermarci, perché qui ogni mese arrivano nuovi malati da tutta Italia ». Eppure anche da questo punto di vista le indicazioni regionali appena entrate nel computer di Orecchia appaiono incomprensibili: «Non si capisce se dobbiamo vaccinare solo i lombardi o anche gli altri, isole comprese ».
Al direttore sanitario del Monzino, dottor Merlino, «l’Ats ha raccomandato di vaccinare solo i pazienti lombardi, mentre a me il funzionario della Regione cui ho chiesto lumi ha detto che dobbiamo occuparci di tutti, il che sarebbe più logico, dato che li abbiamo in cura e solo noi conosciamo le loro situazioni», spiega Mastrilli. Già, perché districarsi nella complessità dei pazienti oncologici è un’impresa, che deve tener conto di numerose variabili. Eppure la Regione ha voluto indicare le priorità. Così tra i primi malati di tumore a ricevere la profilassi anti Covid, si legge sul sito regionale, saranno «i pazienti in fase avanzata e non in remissione», quelli «in trattamento con farmaci immunosoppressivi » o «a meno di sei mesi dalla sospensione delle cure». Significa che se la chemioterapia è finita sei mesi fa si è fuori…
«Ma è del tutto irrealistico – spiega Orecchia, 43 anni di oncologia alle spalle –, che i cicli siano terminati non determina una guarigione né che il paziente non sia altamente a rischio Covid. Dipende da troppe varianti». Un cancro al polmone, che è un organo target del Covid, sarà certamente più a rischio rispetto a una neoplasia al seno sebbene più avanzata. E questo ben oltre i sei mesi dalla fine delle cure. La chemioterapia, poi, dà effetti ben diversi dalla radioterapia, dalle cure ormonali o dai protocolli sperimentali, «ogni caso è a sé e va preparato con largo anticipo.
Per i pazienti immunodepressi, prima di inoculare Pfizer o Moderna va sospesa la chemioterapia, che è immuno-soppressiva », ricorda Mastrilli. La tempistica, insomma, va decisa caso per caso insieme all’oncologo di riferimento, «trovando la finestra temporale entro la quale immunizzare questi pazienti». Problema che non si pone nei casi in cui le terapie anticancro non incidano sul sistema immunitario, «dunque contemporaneamente li possiamo vaccinare».
Il dottor Fabrizio Mastrilli, direttore sanitario dello Ieo - .
Un incrocio di dati che certo non può coincidere con indicazioni e numeri dati dalla Regione. Ma allo Ieo la parole d’ordine è positività, «a me piace considerare la mail di Palazzo Lombardia come una indicazione solo di priorità iniziale, per poi procedere con tutti gli altri oncologici », conclude Mastrilli. Perché, sottolinea con forza Orecchia, «non esistono malati di tumore in cura attiva che non siano fragili, il punto di vista clinico internazionale è chiaro in questo, non capisco perché il parere delle società scientifiche di settore non sia preso in considerazione». Non è teoria, è questione di vita o di morte.
«Ci diano le dosi e noi procederemo spediti. Come avviene in Lazio, e lo dico per esperienza diretta», conclude Mastrilli. Ma lì «i medici di famiglia, i grandi dimenticati dalla Lombardia, vaccinano capillarmente da mesi, non solo gli oncologici meno vulnerabili ma anche i loro caregiver. Qui siamo davvero lontani…».