Il voto di giugno. I leader e la sfida in Europa: cosa rischiano e a cosa puntano
I leader dei maggiori partiti: Schlein, Meloni, Conte e Salvini
È partito il conto alla rovescia. Ancora 5 settimane poi si vota. Poi il verdetto delle urne. Certo il voto europeo dirà molto su come ridisegnare l'Europa di domani e sarebbe riduttivo raccontarlo con una lettura tutta italiana. Ma in effetti questo voto dirà molto anche sui rapporti di forza qui in Italia. Nella maggioranza e nell'opposizione. Meloni ha fissato come obiettivo il 26 per cento delle ultime politiche. Ma la verità è che pensa di fare meglio e la scelta di tenere l'asticella bassa le permetterà di festeggiare tutto quello che arriverà in più come una grande vittoria. Salvini è nell'angolo. La Lega lo segue sempre meno e l'idea di puntare sul generale Vannacci per puntellare la sua leadership traballante finora non ha convinto. Comunque per semplificare: con la Lega sopra il 10 per cento Salvini resiste, con la Lega sotto Forza Italia Salvini non resterà al timone. Tajani è stato ambizioso scommettendo su Forza Italia al 10. Nel campo delle opposizioni chi avrà ragione Schlein che ha deciso di guidare il Pd o Conte che è rimasto in panchina? Perchè questo è un altro nodo che fa e farà ancora discutere: giusto o no candidarsi per l'Europa sapendo che in Europa non si potrà andare? Meloni Tajani e Schlein ci saranno, Conte e Salvini no. Gli elettori ne terranno conto?
LA SFIDA DI MELONI: IL SI' DI BRUXELLES PER TAGLIARE LE TASSE NEL 2025
La strategia è decisa. E nelle conversazioni più private Giorgia Meloni la riassume con poche parole. Nette. Chiare. «Bisogna pesare in Europa per fare cose in Italia». E fare cose vuol dire nella testa della premier un vero taglio delle tasse nel 2025. Per questo ha deciso di scendere in campo in prima persona. Di guidare Fratelli d'Italia in tutte le circoscrizioni. Di candidare quasi esclusivamente gente di partito che risponde a lei per potersi muovere e poter decidere senza condizionamenti. Meloni resterà nell’Ecr, il partito dei Conservatori finora dominato dai polacchi del Pis ma di cui Fdi è destinato a diventare azionista di maggioranza se il 10 giugno i voti reali dovessero confermare le previsioni che danno Fratelli d'Italia vicino al 30 per cento. Ma torniamo alla strategia. Meloni sa che gli accordi prima che in Parlamento si faranno nel Consiglio europeo. Sa che saranno i leader dei 27 a decidere chi guiderà per i prossimi 5 anni la Ue. E se, forte dei consensi, riuscirà davvero ad essere protagonista del nuovo assetto avrà crediti da vantare e da spendere. Consapevole di quanto sarà decisivo il rapporto con Bruxelles. E dei rischi legati a un debito in aumento anche a causa del superbonus. Insomma serve una patto forte con l'Europa. Perchè l'ipotesi di non confermare il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento delle aliquote Irpef (interventi che valgono complessivamente circa 14 miliardi) è un'ipotesi che non si può nemmeno prendere in considerazione. Insomma nella testa di Meloni il derby con Schlein e la partita interna con Salvini vengono dopo. La vera partita è pesare in Europa per fare cose in Italia.
L'AZZARDO DI SALVINI: UN GENERALE PER USCIRE DALL'ANGOLO. MA TAJANI SOGNA IL SORPASSO
È un momento complicato quello che sta vivendo Matteo Salvini. Il popolo della Lega capisce sempre meno le sue scelte e guarda con crescente diffidenza le sue mosse. Uno striscione apparso sul prato dell'ultima Pontida lasciava pensare: "Da indipendenza a sudditanza, i militanti ne hanno abbastanza. Congresso subito". Il malcontento è vero. Reale. Contagioso. Umberto Bossi soffia sul crescente malessere e cala le reti. Salvini guarda gli ultimi sondaggi e non sorride. L'ultimo dava la Lega quattro decimali sotto Forza Italia: 7,9 contro 8,3. Numeri che sembrano anche una bocciatura all'idea di candidare il generale Roberto Vannacci in tutte le circoscrizioni. Ecco la scommessa di Salvini per uscire dall'angolo. Ecco l'azzardo che ha trasformato il malessere del popolo leghista in rabbia. Il generale non convince. I governatori Zaia e Fedriga non hanno capito e non hanno gradito. E se il 10 giugno la Lega dovesse davvero finire dietro Forza Italia la resa dei conti nel Carroccio sarebbe inevitabile. Anche Antonio Tajani è stato chiaro: il nostro obiettivo è quota 10 per cento. Ma se Meloni ha tenuto l'asticella bassa, Tajani forse l'ha posizionata troppo in alto. Il vicepremier sarà in campo. Parla della sua candidatura come di un «atto d’amore verso gli elettori» e scommette ancora sulla forza e sull'immagine di Silvio Berlusconi (c'è ancora il nome del Cavaliere nel simbolo e il volto del Cavaliere nei manifesti elettorali) scomparso da quasi un anno. Anche Tajani come Meloni chiede un voto legando Europa e Italia. «Il voto più utile per modificare l'Europa e tutelare gli interessi nazionali è quello a Forza Italia. In Europa dà le carte il Partito popolare europeo: più siamo forti nel Ppe più possiamo incidere per tutelare l'interesse nazionale», ripete il vicepremier. Il 10 giugno anche lui capirà che ruolo potrà avere.
SCHLEIN SFIDA IL PD, SFIDA CONTE E SI GIOCA TUTTO
La sfida delle Europee deciderà la leadership del centrosinistra e il destino di Schlein. Come finirà la sfida con Meloni? Gli elettori scriveranno Giorgia o Elly? E come finirà la partita dentro le opposizioni con Giuseppe Conte? Schlein ha deciso di saltare senza rete di protezione. Ma (con Salvini) è quella che rischia di più con il voto di giugno. Ha sfidato i colonnelli del Pd. Ha dichiarato guerra a gruppi di potere e a correnti. Ha deciso di candidarsi in ogni circoscrizione. Di cercare sul campo quella legittimazione che nel partito sta perdendo. Ma se perde questa sfida, perde tutto e Schlein è la prima a saperlo. Finire dietro i 5 stelle significa sicuramente essere messa in discussione dal partito e sicuramente rinunciare a guidare le opposizioni (o a esprimere una sua scelta) alle prossime politiche. E poi puntare sul campo largo finora è stato un errore. Il centrosinistra oggi mostra di non avere un collante, troppe le differenze. Sulla guerra all'Ucraina, sul reddito di cittadinanza, sul superbonus, sull'immigrazione... Tra i due elettorati non vi è una base comune. Sono profondamente diversi (anche per estrazione sociale e collocazione territoriale) e se questo consente di coprire un'area elettorale più ampia, dall'altra rende fragile un'ipotesi di coalizione. E intanto Conte resta a guardare. Forse è quello che in questa partita rischia meno. Non ha avversari per la guida del Movimento. Ha solo una avversaria per la guida delle opposizione. E contro di lei punta i cannoni. E non è un caso se nelle ultime ore ha citato più volte Romano Prodi per attaccare Schlein: candidare chi non va in Ue è una ferita alla democrazia.