Attualità

La ricerca. I giovani danno i voti all'Europa: «Ha un futuro»

Paolo Viana mercoledì 15 maggio 2024

La bandiera dell'Unione Europea

La ricerca è stata condotta da under 35 su under 35. Dettaglio non irrilevante, visto che si trattava di capire veramente chi sono i giovani europei e cosa pensano delle istituzioni politiche che reggono l’Unione. I risultati li consegna ora la rivista Scomodo, lavorando con Campo Ricerca, un osservatorio indipendente sulle nuove generazioni. Per arrivarci, oltre ai big data (analizzati 168.000 post) e ai questionari (a quasi 10.000 Under 35 in tutta Italia) è stata compulsata la letteratura esistente, con l’obiettivo di scandagliare il senso di appartenenza, i modelli di leadership, la partecipazione e i fattori che provocano invece l’astensionismo, anche le possibili sinergie tra diverse prospettive intergenerazionali. In particolare, poi, attraverso l’analisi di temi chiave come ambiente, lavoro, istruzione e parità di genere, si è cercato di comprendere come gli under 35 sognino l’Europa del futuro.
In realtà, le risultanze dei questionari somministrati ai ragazzi sono tutt’altro che scomodi. Diciamo pure che sono molto politically correct, quanto meno se ci si riferisca al mainstream politico degli ultimi decenni. Il 40% si sente tanto italiano quanto europeo, il 65 si dichiara apertamente europeista, se non fortemente europeista, il 53,5% considererebbe «un evento terribile» un’Italexit, solo 3 su 10 dichiarano di sentirsi più italiani che europei.

Anche sulla missione delle istituzioni comunitarie le idee paiono chiare: conviene un’Unione perché garantisce libertà di movimento (74%), democrazia (43%), welfare sociale (28%) e pacifismo (15%). Risultato solo apparentemente scontato, ma che rappresenta, a livello di opinione pubblica, una evoluzione delle ragioni fondative dell’Europa, centrate sullo sviluppo economico sia nel Trattato di Roma che in quello di Lisbona. Schengen conta di più. Per i giovani, infatti, l’Europa è mobile, tant’è vero che il 79% ha contattato almeno una volta all’anno residenti di altri Paesi. Ma è anche pacifica: il 74% considera importante che gli accordi bilaterali tengano conto del rispetto dei diritti umani negli altri Paesi e ritiene che i flussi migratori non rappresentino («per nulla») una minaccia per l‘identità europea. Poco meno di un intervistato su due è favorevole a un nuovo allargamento ad Est. Opinioni che portano a scindere il valore dell’appartenenza alla dimensione europea da quello dell’identità nazionale.

Se ci spostiamo dall’asse dell’appartenenza a quello della partecipazione, l’ottimismo crolla. Il 57% nega che la scuola gli abbia insegnato alcunché sull’Europa e il 60% si confessa ignorante sulle istituzioni comunitarie. Il 22% non andrà a votare – peraltro, coloro che ritengono inutile il voto sfiorava già il 50% nel 2023 (Spring , Eurobarometro) - e l’83% pensa che i leader italiani non rappresenti i giovani all’interno dell’Ue: il 43% crede che l’istituzione europea tenga poco conto delle esigenze e delle opinioni degli under 35.

In questo contesto di delusione e scetticismo, uno su due ritiene però che i poteri della Comunità dovrebbero prevalere sui Paesi membri, soprattutto in materia ambientale. Per il 35% tra vent’anni l’Europa avrà comunque più potere. Il mood degli intervistati guardando al futuro è tetro: il 54% si definisce poco o nulla ottimista, il 94% è preoccupato per il cambiamento climatico, il 90% per l’aumento dei prezzi e l’83% per la salute mentale. Insomma, questa indagine generazionale sui nuovi europei, presentata ieri a Roma, non evidenzia soltanto l’anima green dei ragazzi ma anche l’aspettativa di un ruolo attivo delle istituzioni nel garantire il benessere materiale e il diritto alla salute, un ruolo originariamente destinato agli Stati nazionali. La politica si prende la rivincita nell’ultimo Eurobarometro (aprile 2024) che rilancia la democrazia, indicato come il valore che i cittadini vogliono difendere con maggior forza nella prossima legislatura, dopo la pace.

A scorrere le pagine di Scomodo, peraltro, ci si rende conto che a fare l’Europa magari non concorre la scuola, ma sicuramente aiuta molto Erasmus: strumenti come la laurea europea, DiscoverEu e altre forme di mobilità risultano decisive nel forgiare un’identità europea e delle aspettative. Come recita il rapporto, «oggi avere la cittadinanza europea è qualcosa di molto diverso dalle generazioni precedenti, se non altro in termini di opportunità. Basti pensare alla facilità di spostamento che è garantita dal documento di identità italiano – e quindi europeo – che ci permette di spostarci in ognuno degli altri 26 Paesi membri, non solo per visitarli, ma anche per studiare, cercare lavoro e vivere». In conclusione, «la mobilità europea ha un impatto sulla percezione di che cosa rappresenti l’Unione» per i giovani, anche se «questo tipo di opportunità resta non godibile allo stesso modo da tutti, e questa differente accessibilità influenza lo sviluppo di un’identità europea. Le conoscenze linguistiche, ad esempio, emergono come estremamente rilevanti nel garantire l’accesso a queste opportunità: chi parla più di tre lingue ha una maggiore propensione sia a partecipare a progetti europei, sia a comunicare più di frequente con persone residenti in un altro Paese europeo. Di contro, la distanza geografca è un fattore chiave nell’infuenzare una posizione politica più euroscettica, come dimostrano i dati su Sud e Isole».