Attualità

L'esperto. «I genitori? Spiazzati Così cerchiamo di aiutarli»

Paolo Ferrario mercoledì 28 novembre 2018
Marco Crepaldi, presidente di Hikikomori Italia

Marco Crepaldi, presidente di Hikikomori Italia

«Igenitori che si rivolgono a noi sono spaventati e disorientati, lasciati soli a gestire una problematica di cui, in Italia, si conosce ancora troppo poco». Marco Crepaldi è stato tra i primi a interessarsi del fenomeno degli Hikikomori, dei ragazzi che vivono completamente isolati dalla società, su cui ha scritto la tesi in Psicologia sociale, fondando successivamente l’associazione Hikikomori Italia, di cui è presidente.

Perché si diventa Hikikomori?

Perché non si ha più fiducia nel prossimo e non si riesce a sopportare la pressione sociale, il dover mantenere una certa immagine o un determinato status. Così ci si rifugia prima in casa e poi, quando anche la pressione dei genitori non è più sopportabile, direttamente in camera da letto.

Quanto influiscono i social su questo fenomeno?

Di solito, gli Hikikomori non usano tanto i social e, quando lo fanno, utilizzano dei nickname, proprio perché non vogliono mettere in gioco la loro vera identità. Più che i social, il vero ambiente di queste persone sono i videogiochi online, su cui passano notti intere. Uno degli effetti collaterali che colpiscono gli Hikikomori è proprio lo sconvolgimento del rapporto sonno-veglia.

Perché ad essere colpiti sono più i maschi delle femmine?

Perché su di loro la pressione sociale è maggiore. Si pensi soltanto alle aspettative legate alla carriera, sia sociale che lavorativa. E poi perché, per i genitori, è più allarmante che un ragazzo non esca più di casa rispetto a una ragazza.

Quali sono i segnali che le famiglie devono cogliere?

Essenzialmente tre. Il primo è il rifiuto della scuola, perché a questa età, tra i 15 e i 25 anni, è la principale fonte di pressione. E non perché prendano brutti voti, ma proprio per ché non riescono a relazionarsi con i compagni e i professori. Il secondo segnale da cogliere è la preferenza per attività solitarie, come le chat. La terza è, appunto, l’inversione del rapporto sonno-veglia. Questi ragazzi vivono di notte per proteggersi dal mondo, che in quelle ore è inattivo e, quindi, per loro, meno pericoloso.

Come le famiglie possono aiutare i loro figli in crisi?

Quando questi segnali si manifestano è già tardi. Alle migliaia di genitori che si rivolgono ai nostri centri consigliamo di non forzare il ragazzo a tornare a scuola, perché così si rischia di compromettere ulteriormente il rapporto.

E la scuola come si deve porre nei loro confronti?

Studiando, insieme alla famiglia e agli esperti, dei percorsi personalizzati e alternativi. Per esempio, prevedendo lezioni al di fuori dell’orario canonico, per non “costringerli” ad incontrare i compagni.

Una soluzione praticabile?

In Piemonte lo stiamo già sperimentando, con buoni risultati, grazie a un protocollo d’intesa sottoscritto con la Regione e l’Ufficio scolastico regionale, che indica linee guida precise cui le scuole possono fare riferimento. È bene, però, ricordare che è una possibilità, non un obbligo.

Perché? Che cosa manca?

Una diagnosi specifica che in Italia ancora non c’è. Così spesso si scambia l’Hikikomori per un depresso, un asociale. Invece, è una persona che soffre e che, come chiunque, ha bisogno di un approccio specifico da parte di chi conosce il problema. Come associazione ci stiamo battendo affinché questo riconoscimento arrivi quanto prima.