Azzardo. I figli di giocatori patologici, tragici «effetti collaterali»
«Una bambina di 9 anni è stata ricoverata in ospedale per malnutrizione. Se ne sono accorte le maestre a scuola. A casa non le davano da mangiare a sufficienza. Il motivo? I soldi se ne andavano tutti in azzardo». Daniela Capitanucci, fondatrice di And (Azzardo e nuove dipendenze), racconta questa storia accaduta nel suo Varesotto. Una tra le tante possibili a dimostrazione che a soffrire della piaga dell’azzardo è sì il giocatore, ma anche e soprattutto chi gli sta accanto. «I bambini, specialmente i bambini. Di cui si parla pochissimo».
Di cui non si parla affatto... Ma i bambini, vedremo presto quali, sono il primo tra 'I danni collaterali del gioco d’azzardo', titolo del Seminario organizzato stamattina da And a Varese (Salone estense, via Sacco 5, ore 9.30). Tre le relatrici e tutte operatrici professionali di And: oltre a Capitanucci, Roberta Smaniotto (presidente) e Anna Colombo. «Purtroppo – spiega Daniela Capitanucci – in genere la comunicazione sull’azzardo si ferma al giocatore. E c’è chi commenta: 'In fondo ognuno è libero di rovinarsi come gli pare'». Sbagliato. «Non è libero affatto. La prima vittima è la sua famiglia, perché tutti siamo in relazione con qualcun altro: relazioni di affetto e di lavoro. E ogni relazione comporta delle responsabilità. Chi rovina se stesso con l’azzardo, danneggia anche molti altri attorno a lui. Parliamo di parenti, ma anche di amici, clienti, datori di lavoro, colleghi. Pazienti, se fai il medico. Studenti, se fai il professore. Eccetera».
Tanti subiscono dunque i 'danni collaterali'. Ma i più fragili appartengono a due categorie: figli minori e genitori anziani. Oggi si parla dei primi: «Vivono – spiega Capitanucci – in un clima di perenne incertezza e conflitto. Nelle loro famiglie manca spesso il necessario per vivere, perfino il cibo, come dimostra la vicenda di quella bambina finita in ospedale per malnutrizione. Le liti quotidiane comportano un carico pesante per il figlio che, non potendo contare sugli adulti, deve imparare a badare a se stesso». Si tratta di traumi invisibili la cui constatazione ha spinto le ricercatrici di And a organizzare il seminario di stamattina. Bambini portati dai genitori a giocare d’azzardo con loro. Ma anche bambini figli di gestori che passano molte ore al bar o in tabaccheria e vedono la gente spendere fortune alle macchinette o nei gratta e vinci. «Si chiama gioco d’azzardo passivo: il bambino osserva e ascolta. In inglese si usa l’espressione nearmiss, 'quasi vincita': assistere a una vincita si muta in una sorta di imprinting dalle conseguenze imprevedibili».
E le soluzioni? «Il seminario serve proprio per un confronto tra i presenti: assistenti sociali, insegnanti, genitori, volontari, semplici cittadini. Un’ipotesi, in casi estremi, potrebbe essere un 'affido leggero': bambini figli di affetti da Gap (gioco d’azzardo patologico) che passano alcune ore fuori casa, per studiare e stare in un ambiente tranquillo, sottraendoli a un ambiente tossico. Sono bambini feriti». E il congiunto del gambler? «È il primo a dover chiedere aiuto per sé. Il trauma genera ansia, e l’ansia induce ad azioni poco lucide. Al congiunto la prima cosa da dire è: tu, prima ancora di tuo marito o tua moglie, tu hai un problema».