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Il giornale. I dubbi dell'inviata: «Ero molto perplessa». Ma il direttore insiste

Lucia Bellaspiga giovedì 12 marzo 2015
«Quando il direttore mi ha proposto questo lavoro ero molto perplessa, perché sono cattolica e sapevo che violavo un sacramento. Ma lui mi ha concesso tutto il tempo per pensarci e io ho deciso che fingere in confessionale era l’unico modo per capire senza filtri cosa succede oggi nella Chiesa». Parola di Laura Alari, l’inviata di Qn. Che non coglie la gravità dell’aver simulato e ingannato la buona fede di sacerdoti che amministrano un sacramento, perché – dice – «le situazioni che raccontavo non erano inventate, appartenevano a persone che conosco. E che mi hanno ringraziato. Questo mi ha ripagato di tutta la sofferenza: in realtà mi sentivo male mentre lo facevo, perché ho incontrato preti splendidi, che mi hanno dedicato ore». Anche se i titoloni sparati non lo fanno intendere... «Non li ho fatti io, certo, diciamo che è difficile fare i titoli...». Nessun imbarazzo invece, e nessuna sofferenza, da parte del direttore, Andrea Cangini: «I titoli? Sono la sintesi perfetta, seppure portati all’estremo». Che in realtà contraddicano in toto i contenuti degli articoli e mistifichino il tono con cui i preti si erano espressi conta poco, dunque. Così come conta poco il fatto di aver violato addirittura la sacralità di un sacramento: «È vero, lo abbiamo fatto e con i colleghi ci eravamo posti il problema, ma abbiamo deciso che ne valeva la pena per ottenere elementi concreti e scoprire quanto il clero corrisponda oggi al sentimento di papa Francesco». Un risultato che una normale serie di interviste lecite e a volto scoperto non avrebbe ottenuto, secondo Cangini: «Se intervisti chiunque nell’esercizio delle sue funzioni, avrai risposte la cui veridicità sarà dubbia. Così, forzando le cose, potevamo sapere come il parroco medio si pone. Interessante». Che i fedeli si siano sentiti offesi non gli è chiaro, a partire dall’arcivescovo di Bologna: «La reazione di Caffarra? Un atto dovuto, che mi aspettavo e che rispetto. Ma quando un giornalista è d’inchiesta quasi sempre vìola la deontologia, fa parte del nostro lavoro. I documenti che abbiamo pubblicato hanno un valore oggettivo e non c’era altra strada per averli». Pensare che per il rispetto della confessione c’è chi, oggi come nel passato, ha dato la vita fa una certa impressione, a confronto con tali affermazioni, ma «questa è una sciocchezza – risponde il direttore –: rispetto chi ha perso la vita, ma il valore di un sacramento è tale per chi lo riconosce, per chi ha fede. E non è il mio caso».