Attualità

DIETRO LE SBARRE. I detenuti: «La festa? Si chiama speranza»

Giovanni Maspero giovedì 16 agosto 2012
​Niente colloqui, o visite. Niente posta. E via anche gli operatori, le educatrici. Ferragosto, in carcere, è il giorno del silenzio e della tristezza. A Padova come nel resto d’Italia. Qualcuno decide di giocarsi il “jolly” della telefonata a casa: dieci minuti che dovranno bastare una settimana. Quando compone il numero però, non trova nessuno: Ferragosto, fuori, è il giorno del riposo e della festa. Non resta che uscire dalla cella e cercare qualcosa da fare: andare nella soffocante saletta della sezione, dove nella migliore delle ipotesi (sempre se a causa del sovraffollamento non ci saranno detenuti anche lì…) ci sono un tavolo da ping pong e un calcio balilla. Oppure passare un’ora al mattino e una al pomeriggio nei “passeggi”.I passeggi, nel carcere di Padova, sono come «piscine senza acqua». I detenuti li descrivono così. Trattasi, in effetti, di cubi delle dimensioni di circa 12 metri per 15, con muri in cemento alti circa 5 metri, dove dovrebbero “passeggiare” – magari alternandosi – i 25 detenuti di ogni sezione. Peccato che a oggi queste ultime ne ospitino mediamente 75. Così, quando si “passeggia”, in effetti si sta quasi fermi. E se è vero che guardando in alto si può vedere il cielo, vero è anche che l’aria non circola, data l’altezza dei muri e l’orario di uscita, stabilito tra le 13.30 e le 15.00.«Nelle celle, d’altronde, è ancora peggio», raccontano i detenuti di Padova. Hanno dimensioni modeste – sono circa 3 metri per 3.50 – e in questo spazio ci devono stare: una branda a castello, una branda singola (se fosse a castello bloccherebbe l’unica finestra…), tre “stipetti”, un tavolinetto e tre sgabelli. In pratica l’arredamento necessario alle tre persone presenti in ogni stanza, la stessa che originariamente era stata costruita per una sola persona.«Di giorno, comunque, si tira a campare: all’interno della sezione, almeno qui da noi, ci si può in qualche modo muovere, dal momento che le porte delle celle sono aperte», spiegano ancora i carcerati. Quel che basta per sentirsi ancora vivi. Ma la sera, dalle 19.30 in avanti, quando i cancelli vengono chiusi, tutto diventa più difficile. I muri sono bollenti e l’aria diventa irrespirabile, lo spazio per muoversi è minimo, tanto che le tre persone non possono stare in piedi contemporaneamente, e ci si turna per andare ogni tanto a bagnarsi in bagno-cucina (un piccolo locale dove, oltre al water, ci sono anche un lavandino e un tavolino dove, utilizzando un fornellino da campeggio, caldo permettendo naturalmente, ci si può cucinare qualcosa).La beffa, raccontano i detenuti, «è che da un paio d’anni, siamo stati autorizzati ad acquistarci, ovviamente a nostre spese, un piccolo frigorifero tipo di quelli da albergo: chi ha la disponibilità economica per affrontare tale spesa, circa 200 euro, può permettersi di bere acqua fresca, ma ad esempio non è concesso, non si sa bene per quale motivo, comprare un ventilatore che sicuramente allevierebbe almeno un po’ la calura».Arriva poi la notte, ed è davvero difficile prendere sonno: così nei mesi estivi aumenta in modo esponenziale anche l’assunzione di ansiolitici e di psicofarmaci, «ai quali difficilmente – continuano i detenuti – si riesce poi a fare a meno anche quando torna la stagione più vivibile». Per un attimo il silenzio, nei corridoi del carcere di Padova, si fa più pesante. Poi qualcuno prende la parola per tutti: «Non ci lamentiamo, però. Non ci interessa di non poter andare al mare o in montagna a festeggiare, magari con i nostri familiari. Oggi più che mai, però, vorremmo vivere una vita più dignitosa e soprattutto avere una speranza per il nostro futuro, dare un senso alla nostra carcerazione». Pretese che esigono risposte, anche a Ferragosto.