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Election day. Dopo il voto europeo: ecco i cinque scenari per il governo

Marco Iasevoli sabato 25 maggio 2019

«Così non si va avanti», ha detto negli ultimi giorni, a più riprese, il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti. Mettendo a verbale quei dubbi sul prosieguo del governo che hanno accompagnato l’intera campagna elettorale. Ma davvero l’esecutivo è a rischio? Difficile dirlo. Permane il dubbio che i litigi, le offese e gli scontri siano stati più scenografici che altro, che Lega e M5s si siano spartiti il campo da gioco lasciando agli altri briciole di visibilità. Per cui, nel giorno in cui si aprono i seggi, l’ipotesi più probabile è che il governo vada avanti e trovi proprio negli esiti del voto europeo un puntello contro la crisi. Tuttavia, alcuni risultati elettorali potrebbe innescare un meccanismo incontrollabile.

Un "boom" del Carroccio o, al contrario, una caduta fragorosa del M5s. Un’impennata del Pd. Un crollo di Forza Italia con relativa ascesa di Fratelli d’Italia. In sintesi ci sono dei "range" entro cui i risultati elettorali possono essere assorbiti senza sconquassi a Palazzo Chigi; ma se si rompono alcune dighe, delle conseguenze vanno messe in preventivo. Tutto ciò al netto della variabile fissa e prioritaria, la situazione economica del Paese, che tornerà a bussare alle porte della politica già da domani. Variabile che può inchiodare tutti a responsabilità impossibili da evadere. Allo stesso tempo, nell’elaborazione di qualsiasi scenario vanno tenuti in conti gli attuali numeri dei gruppi parlamentari, frutto del voto del 4 marzo 2018: in questa legislatura il M5s - nonostante divisioni interne - detiene nettamente la maggioranza relativa, quindi il baricentro di ogni equilibrio.

IL GOVERNO VA AVANTI (CON RIMPASTO?)

È l’ipotesi più probabile. I due partiti di maggioranza mettono in conto un ribaltamento di classifica: è possibile che la Lega diventi il primo partito e che M5s debba difendere il secondo posto dal Pd. In tal caso, i due alleati dovranno rivedere l’agenda della "fase due" e trovare una sintesi su numerosi punti lasciati aperti: flat-tax, famiglia, Tav, Autonomie, sicurezza, giustizia. Una rivisitazione dell’agenda, in vista anche della manovra d’autunno, potrebbe anche essere il preludio di un rimpasto che sinora Di Maio e Salvini hanno derubricato a pratica da Prima Repubblica. Anche nel caso in cui non volessero camminare insieme, i due leader potrebbero essere "costretti" a restare uniti per affrontare la pesante manovra economica di ottobre.

M5S-PD, IL FORNO SEMPRE APERTO

L’attuale coalizione M5s-Lega gode sulla carta di 342 voti alla Camera (sui 316 necessari) e 165 al Senato (maggioranza assoluta fissata a 158). E nel corso di questi mesi, ha potuto godere anche di qualche "aiutino" di Fratelli d’Italia. L’unica altra vera maggioranza disponibile in Aula è quella tra il M5s e Pd: i 219 deputati M5s e i 112 dem veleggerebbero a Montecitorio oltre la soglia di sicurezza mentre sarebbero risicatissimi - appena un voto - i margini a Palazzo Madama. Ma in uno scenario del genere tornerebbero in gioco Leu ed esponenti del Misto. In caso di crisi, potrebbe essere questo uno dei due tentativi del capo dello Stato Sergio Mattarella prima di sciogliere le Camere. Dentro questo schema, però, è nota la resistenza di Matteo Renzi, che ha ancora influenza sui gruppi parlamentari dem. Molto dipenderà dal risultato del nuovo Pd di Zingaretti, benché il nuovo segretario abbia più volte detto che in caso di crisi sarebbe meglio anticipare il voto.

IL RITORNO DEL CENTRODESTRA (CON RESPONSABILI)

Alla luce dei risultati del 4 marzo 2018, il centrodestra "tradizionale" (Lega-Fi-Fdi) arriva a uno scarno 260 a Montecitorio e a 137 al Senato. Un "ribaltone" dovrebbe passare o attraverso un clamoroso smottamento di M5s o attraverso una improvvisa sterzata a destra del nuovo Pd di Zingaretti, che però al partito ha dato tutt’altro impulso. È un’ipotesi debole ma una delle due che il Colle potrebbe sondare.

IL VOTO ANTICIPATO

Una data utile potrebbe essere entro la prima metà di settembre, con la possibilità di formare un nuovo governo in tempo per la manovra di ottobre. Le motivazioni politiche alla base di un voto anticipato non consisterebbero solo in un eventuale "boom" della Lega, ma anche in una crescita di Fratelli d’Italia a danno di Fi tale da creare una potenziale maggioranza Salvini-Meloni indipendente da Berlusconi. La legge elettorale in vigore consente di avere i numeri adeguati in Parlamento se un partito o una coalizione riesce ad attestarsi dal 41-42 per cento in su.

I TECNICI PER LA MANOVRA

Da tenere sempre sullo sfondo la via d’uscita emergenziale che il Colle può imboccare quando una crisi politica rischia di creare danno al sistema-Paese. Lo spread stabilmente oltre i 270, i mercati agitati, l’Ue col fiato sul collo per deficit e debito potrebbero rimettere in pista un esecutivo tecnico per fare la pesante manovra di ottobre. Ma Pd e Fi si presterebbero solo se a metterci la faccia fossero anche Salvini e Di Maio, o almeno uno dei due.