Catania. Chiedono casa e lavoro. Il caso dei 50 che dormono in Duomo
Un gruppo di sfrattate ospitate nel duomo di Catania
«Chi dorme in chiesa a Capodanno dorme in chiesa per tutto l’anno». C’è anche una vena di ironia in uno dei vari striscioni esposti all’ingresso della cattedrale di Catania dai senzatetto che dalla fine di novembre hanno eletto come loro dimora il principale luogo di culto cittadino.
Il gruppo dei manifestanti comprende poco più di 50 persone, complessivamente una ventina di nuclei familiari con a seguito ben 22 bambini. Il 28 novembre il via alla protesta con Aurora De Luca, zia di alcuni senza tetto, che si è piazzata dentro la Cattedrale; poi, dal 6 dicembre in avanti, è toccato agli altri, tutti pronti ad elogiare l’accoglienza dell’arcivescovo Salvatore Gristina, nonché del parroco monsignor Barbaro Scionti e del suo vice, don Giuseppe Maieli.
«Ieri sera ci ha portato pure le pizze», dicono in coro le donne più agguerrite, pronte a sottolineare la disponibilità della Chiesa catanese dinanzi al dramma che stanno vivendo. «Faremmo volentieri a meno di proseguire in questa protesta – dice Giusi Tirelli –, ma siamo pronte a proseguire ad oltranza se non verrà trovata una soluzione al nostro problema». Il problema al quale fa riferimento è la mancanza di una casa, disagio che affligge in molti a Catania, parecchi tra gli abitanti dei quartieri Pigno, Librino, San Giorgio e Villaggio Sant’Agata.
E, a proposito della Patrona catanese, il gruppo è pronto a trascorrere in cattedrale anche l’imminente, significativa ricorrenza, i festeggiamenti agatini che scatteranno il 3 febbraio per concludersi all’alba del 6. «L’arcivescovo e i suoi collaboratori – aggiunge Desirée Bittolo – hanno trascorso con noi le festività natalizie e sono certa che faranno altrettanto per l’Epifania e Sant’Agata».
Insistono affinché il sindaco Enzo Bianco le riceva. «Andremo via da qui – afferma perentoria Giusi Tirelli – solo quando ci daranno le chiavi di una casa ciascuno». E, sotto questo aspetto, Aurora De Luca, alfiere della protesta, si esprime così: «Le graduatorie delle case popolari dovrebbero essere stilate dalla Prefettura, così da evitare disparità. Poi – conclude – mi chiedo dove siano andati a finire i consiglieri di quartiere e, più in generale, i rappresentanti delle istituzioni».
«Il Comune c'è, ma non tollereremo illegalità»
I contorni della protesta diventano più chiari dopo un secondo incontro con l’assessore comunale al Welfare, Fortunato Parisi. «Tre famiglie - racconta - hanno già una casa popolare, ma solo 5 delle altre 16 che la chiedono hanno fatto domanda per ottenerla e 3 l’hanno presentata da una ventina di giorni. Una decina di persone, poi, cerca solo un lavoro. Abbiamo individuato - aggiunge - alcuni percorsi, sbloccando ad esempio i tirocini formativi da 400 euro al mese; ma, soprattutto, lavoreremo per seguire queste persone anche sotto il profilo burocratico, aiutandole nel rispetto delle regole, per esempio assistendole nella presentazione delle domande. Considero importantissimo che i manifestanti abbiano cominciato a dialogare con il Comune. Appena un’ora dopo l’inizio della protesta mi ero recato a offrire un tavolo tecnico sotto l’egida della Prefettura, che era stato sempre rifiutato».
L’assessore al Welfare ipotizza anche che «qualcuno sta soffiando sul fuoco: i manifestanti parlano di un palazzo di edilizia popolare che potrebbe essere subito occupato, come avvenne, dicono, nel 2005. In effetti, una dozzina d'anni fa le assegnazioni vennero fatte, dopo un'analoga protesta in Cattedrale, con criteri non trasparenti che oggi qualcuno vorrebbe emulare, forzando il Comune a trasgredire regole e legalità. E questo non è possibile».