Una testimonianza di amore per la vita, forza di volontà e fiducia nel futuro, anche della ricerca scientifica. Sono le impressioni che si ricavano dalla lettura delle pagine del libro di Gian Carla Bozzo («Flash. Frammenti di vita». Istess-Fnism, Terni) per raccontare la sua esperienza di donna che passa da una spensierata gioventù a un’età adulta caratterizzata dalle crescenti difficoltà causate dalla sclerosi multipla, la malattia neurodegenerativa che l’ha colpita in modo particolarmente aggressivo, costringendola in sedia a rotelle. Gian Carla, laureatasi in Ingegneria elettronica nel 1993 e moglie di Luca dal 1996, frequentando un laboratorio della Cooperativa Cultura e Lavoro di Terni ha potuto scrivere attraverso un computer comandato da sensori che rispondono al movimento della testa, al ritmo di 4-5 righe in un’ora e mezza: le fresche pagine della sua storia sono animate di episodi lontani e recenti, lieti e faticosi, mai privi però di un sorriso. «Sono sempre sorridente e faccio tutto come se non avessi nulla – scrive Gian Carla –. Non mi sono chiusa in casa come tante persone che hanno la mia stessa malattia. Non mi voglio piangere addosso». E a chi la definisce una donna forte replica: «Se guardo solo dentro me stessa, non vedo molta forza. Sono i miei cari, i miei amici, i miei affetti ad amplificarla. In questo mi ritengo fortunata».
Come è stato l’impatto con la malattia?Graduale. Mi rendo conto a distanza di anni che la diagnosi iniziale, fatta nel 1995, non mi sconvolse. Infatti a quel tempo mi sentivo bene, i sintomi erano scomparsi quasi del tutto, ero sicura che al massimo avrei fatto parte di quella percentuale di malati nei quali la malattia procede così lentamente, che quasi non se ne accorgono per tutta la vita. Andavo regolarmente dal neurologo, mi stavo informando su alimentazioni particolari che mi potessero aiutare, ma credevo che non avrei mai avuto veramente bisogno di tutto ciò. Poi, già l’anno successivo, i sintomi hanno cominciato ad aumentare, mi stancavo più facilmente a camminare, a scrivere, a lavorare. Fino al 2000 circa ho mantenuto quasi una totale autonomia, iniziando però a convivere con le mie difficoltà e con una nuova e indesiderata compagna di vita.
Che cosa si sente di dire alle persone nelle sue condizioni, ma che non hanno la sua stessa attitudine a lottare? Credo che non esista una risposta valida per tutti, però dalla mia esperienza direi che può aiutare il cercare di non scoraggiarsi, di avere interessi, sorridere alla vita e alle persone che ci stanno vicino. È con queste persone, e soprattutto con i nostri cari, che è importante instaurare un rapporto positivo. Se questo riesce, ci permette di dare ai nostri cari stimoli ed energia per lottare con noi giorno dopo giorno. E ricevendo il loro appoggio noi ci sentiamo più forti, recuperiamo energia, possiamo dare loro ancora la carica, e il ciclo si ripete.
Quali sono le sue aspettative nei confronti della ricerca scientifica?Pur sapendo che le probabilità che io riesca a riguadagnare qualcosa delle mie funzionalità perdute sono basse, non dispero. Mi accontenterei soprattutto di recuperare un po’ l’uso delle braccia e di diminuire le mie difficoltà nel parlare. Soprattutto quest’ultimo ostacolo negli ultimi tempi mi sta limitando molto. Sono sempre stata un tipo estroverso, a cui piace tanto parlare e comunicare. Quando sono cominciate le difficoltà nei movimenti, ho sopperito con il telefono alla diminuita mobilità. Ora però è diventato difficilissimo farmi capire al telefono e anche di persona è molto faticoso. Sì, spero proprio che la ricerca, con fatti concreti, mi restituisca un po’ di chiacchiere... Il ricavato del libro è destinato alla onlus Neurothon (
www.neurothon.com), che sostiene le ricerche di Angelo Vescovi per portare in sperimentazione clinica nei laboratori di Terni le cellule staminali cerebrali contro le malattie neurodegenerative.