In Polonia. Tra i profughi ucraini a Medyka, dove i figli si separano dai padri
I profughi ucraini in fila attendono di oltrepassare i cancelli di Medyka, il villaggio polacco che è anche la frontiera dell’Unione Europeae
La più grande emergenza umanitaria in Europa dal 1945 ha il volto di un’anziana ucraina che cammina appoggiandosi al bastone sorretta dalla figlia e dalla nipote adolescente. Tre donne, tre generazioni che hanno appena varcato i cancelli di Medyka, il placido villaggio a ridosso del confine dove i profughi passano a piedi. La frontiera dell’Ue si apre accanto alla massicciata della ferrovia, tra campi ancora velati di neve. Pochi passi e potranno rifocillarsi ai tanti banchetti ai due lati della strada organizzati da volontari e Ong che distribuiscono zuppe, panini, bevande calde e fredde.
Le accolgono le note di Yesterday suonate dai volontari della missione evangelica di Zion a un pianoforte su cui hanno disegnato il vecchio simbolo della pace. Ci sono anche gli indiani Sikh con la loro organizzazione umanitaria. Attendono alcuni connazionai studenti e lavoratori con cui hanno preso accordi sui social per portarli in Germania. Secondo l’Oim sono fuggite 112mila persone di “Paesi terzi” che vivevano o studiavano in Ucraina e a cui serve supporto umanitario.
Dopo il corridoio dell’accoglienza i profughi si immettono nella fila organizzata dall’esercito polacco e dalla Croce rossa per prestare eventuale assistenza e soprattutto attendere il proprio turno per andarsene. Fila che si allunga sempre più. Ieri l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi ha annunciato con un tweet che sono salite a oltre 2,5 milioni i cittadini che hanno lasciato l’Ucraina dal 24 febbraio scorso, inizio dell’invasione russa.
Oltre un milione sono bambini. La peggiore emergenza umanitaria sul suolo europeo da tre quarti secolo è infatti un’ondata di donne di ogni età e di bambini. Si vede nella fila di Medyka, dove i minori sono in maggioranza con le loro facce tristi. Si sono divisi dal papà (i maschi dai 18 ai 60 anni non possono uscire dal Paese) e hanno perso di colpo le amicizie, la casa, la vita quotidiana e in pochi giorni si ritrovano in coda per iniziare un viaggio verso l’ignoto dopo traumi e stress. Inutile il tentativo – non troppo convinto – di consolazione delle madri.
Ci sono anche quelli arrivati da soli. Come Baba, 17 anni, che a una volontaria polacca racconta che deve andare a Berlino dai fratelli e non sa come fare. La sorte di quelle come lei è la più grande preoccupazione della commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson che ha allertato le reti anti tratta degli stati membri. In soli 14 giorni, calcolava ieri l’Ispi, hanno lasciato l’Ucraina più profughi di quelli fuggiti dalle guerre dei Balcani, dalla guerra del Kosovo del 1999, o che erano giunti in Europa nel corso della “crisi dei migranti” del 2015-2016.
Non sono ancora i quattro milioni accolti dalla Turchia in quel biennio tragico, ma probabilmente ci arriveremo nelle prossime settimane in base all’andamento del conflitto. Sempre secondo le Nazioni unite, al momento sono infatti due milioni gli sfollati interni rimasti nel paese. Lo conferma al telefono dall’altra parte del confine Mira Milavets di Caritas Spes, emanazione della chiesa cattolica ucraina di rito latino.
«Noi – spiega Mira da una località transcarpatica che teniamo segreta per ragioni di sicurezza – siamo relativamente tranquilli, accogliamo un migliaio di famiglie sfollate. Stanno vivendo in larga maggioranza il dramma della separazione dai padri e dai figli maggiorenni ed è una tragedia che nessuno credeva di dover ancora vivere in questo secolo». Mira segnala anche il dramma degli anziani che non vogliono muoversi per non abbandonare la propria case per non essere d’impaccio ai giovani. E dei malati. «Come fanno a scappare nel rifugio se c’è un bombardamento?», si chiede. E concorda con le previsioni, se questa guerra non finisce si sposteranno rapidamente almeno un milione nella regione a ridosso della Polonia per poi dividersi.
A Medyka, dove le separazioni sono un ricordo fresco che brucia, chi arriva alla fine della coda sceglie se andare al centro di raccolta o, se ha preso accordi con parenti e amici, di andarsene. Dei cinque Paesi confinanti, la Polonia è per ora quella dove i profughi preferiscono restare approfittando anzitutto della protezione temporanea triennale che permette a chi proviene dall’Ucraina di soggiornare, lavorare, studiare e avere assistenza sanitaria sul territorio Ue; quindi della presenza di circa due milioni di ucraini arrivati dopo la guerra del Donbass del 2014 e infine dalla gara di solidarietà che si è scatenata in tutto il Paese per accogliere anche nelle case private o trasportare i profughi.
La statale per Medyka è percorsa nei due sensi da furgoni con cartelli scritti a penna che recitano "Aiuti umanitari" e "trasporto profughi". La destinazione è un parcheggio accanto al confine, affollato anche da mezzi italiani. Anche In Italia è partita da giorni una gara di solidarietà di privati cittadini e parrocchie, enti locali e aziende. Con 250mila immigrati ucraini nel nostro Paese, le attese per gli arrivi sono alte. Ieri, diceva il Viminale, eravamo a quota 31mila.
Accanto alla fila passa un italiano con il giubbotto della Protezione civile. Viene da Ceva, provincia di Cuneo. «Abbiamo raccolto i fondi e gli aiuti umanitari – spiega Massimo Gula, alpino dell’Ana – e siamo partiti in quattro mercoledì a titolo personale. Abbiamo consegnato gli aiuti e ripartiamo».
Il furgone della parrocchia di San Martino di Rebbio, nel Comasco, arriva nel parcheggio con una certa fretta. «Siamo appena arrivati – afferma Stefano Sesana, geologo e volontario – abbiamo viaggiato tutta la notte. Una badante ucraina ha preso appuntamento con alcuni parenti di Leopoli che porteremo con noi. In tutto abbiamo mandato quattro furgoni, gli altri sono andati a caricare le persone nel centro di accoglienza di Prszemisl. Noi abbiamo appuntamento qui con altre».
Molti profughi vengono portati dalle autorità polacche a Korczowa Dolina, un centro commerciale il cui interno è stato trasformato in centro per il primo soccorso dei profughi. Vengono assistiti nel caos e distribuiti in base alla destinazione indicata in grandi sale dove vengono stese brande da campo. C’è anche la sala di chi non ha indicato un luogo, perché nessuno lo aspetta. Nel parcheggio stazionano furgoni e auto di mezza Europa di gruppi di volontari spontanei organizzati sui gruppi social e le associazioni in attesa di partire con i profughi. O i parenti come Andriy, immigrato da anni nella repubblica Ceca, che finalmente può abbracciare sorella e nipotino. Li fa salire in fretta in auto, il viaggio è lungo, ma almeno il piccolo ora sorride.