Missione Mediterranea. «I guardiacoste libici? Solo un gruppo armato»
Migranti soccorsi da Open Arms lo scorso agosto (Ansa)
In una notte di quiete bugiarda il comandante Oscar torreggia affacciandosi dal cassero che si apre sulla distesa scura. Il profilo del veliero Astral è l’unica geometria difforme dalla sinistra sequenza di falò delle piattaforme petrolifere e delle nere dune che s’infrangono contro la prua. In silenzio il comandante Oscar scruta le onde. Sembra ci stia parlando, come se ad ogni sciabordio possa arrivare l’eco di una richiesta d’aiuto.
Sconfortato dalla lettura serale delle quotidiane polemiche di giornata, afferra il timone. Poi, con tono solenne e rassegnato, proferisce in spagnolo una frase che nella solitudine del Mar Libico suona come un grido: «Francisco, il Papa Francisco è stato il primo a rompere la falsa narrazione sui migranti. Senza di lui saremmo soli».
Oscar Camps non puoi conoscerlo davvero se non gli trascorri a fianco almeno un turno di vedetta al timone della Open Arms. A noi lo ha concesso già per due volte: dalle 3 alle 6 di notte, quello peggiore, perché ti spezza il sonno e può rovinarti la giornata. Ma almeno così l’equipaggio può riposare.
È lui l’uomo cha ha sfidato i governi europei. La bestia nera della cosiddetta Guardia costiera libica, il nemico delle procure italiane che da due anni cercano senza trovarle le prove del legame Ong-trafficanti. «Sono stato istruito in un collegio cattolico, ma non sono esattamente un praticante», dice di sé. Un giorno un leader religioso gli ha spiegato «che se metti a rischio la tua vita per salvare quella di persone che non conosci, allora in un certo senso sei un cristiano praticante».
Di mestiere Camps faceva l’imprenditore nel soccorso marittimo. Fino a quando sua figlia, davanti alle immagini dell’ennesima strage di migranti, non gli ha domandato: «Perché non vai a salvare anche loro?». Due anni fa è nata Proactiva Open Arms. Per raccontare il comandante Oscar ci vorrebbe un Emilio Salgari. Lo sguardo fermo, la voce pastosa che d’improvviso irrompe come un tuono, una vita tra i flutti e il braccio di ferro con la politica. E quando pensavano che all’ennesima inchiesta, all’ennesima nave bloccata in un porto, sarebbero rimasti senza un salvacondotto per tornare a riguadagnare miglia, «abbiamo raccolto il sostegno di tanti comuni, di molte città, di associazioni, di parrocchie, non solo in Spagna, ma anche in Italia».
In altre parole, Open Arms è diventata «una risposta popolare – dice – alla inazione dell’Unione Europea». Perciò Camps ha subito detto di sì a Mediterranea, la missione italiana di osservazione nel Canale di Sicilia. Dal suo punto di vista, questo è un ragionamento politico. Prendete il premier spagnolo Pedro Sanchez: «Quando nave Aquarius non trovava un porto aperto, Sanchez – ricorda Camps – decise di farla approdare in Spagna, perché comprese che quella era una decisione popolare». Non è detto che messa così sia proprio un complimento per il primo ministro iberico.
Ma il comandante Oscar sa come vanno queste cose. Non a caso su Astral sono salite personalità note, tra le quali di recente il campione di basket Marc Gasol, stella dell’Nba, che quasi si spezzò un dito per salvare Josepha, la profuga camerunense calunniata dai suprematisti travestiti da sovranisti. «Fu uno spavento: avete idea di quale assicurazione ci sia sulle mani di Gasol? Ma lui, da campione, ci rise su, e continuò a salvare», dice Camps. Altre personalità dello spettacolo, dello sport e della cultura hanno chiesto di venire a bordo nelle prossime operazioni. L’organizzazione avrebbe voluto anche gli italiani Jovanotti e Fedez, «ma i loro manager ci hanno spiegato di temere l’odio sui social», spiegano dall’Ong. Chissà che non ci sia modo e tempo per ripensarci.
Il dilemma dei soccorritori è sempre quello: se non c’è nessuno da intercettare si sta in fondo più tranquilli, perché forse nessuno annegherà. Ma poi, ogni volta, arrivano le notizie dalla Libia a togliere il sonno. Ieri, finalmente, il ministro degli Esteri italiano ha messo un punto fermo: Tripoli "non è un porto sicuro". Esattamente ciò che l’Onu e le Ong sostengono da mesi. «Io non riconosco la Guardia Costiera libica – scandisce Camps –. Si presentano con uniformi non identificabili e con i mitra spianati. Ci hanno anche sparato. Per me sono né più né meno che un gruppo armato».
Aggiungere altro non serve. E non c’è neanche tempo. Il comandante Oscar afferra il binocolo. Si sporge. Vuole che tutte le luci siano spente: "Una volta abbiamo visto un barcone a 500 metri di distanza solo perché un migrante aveva acceso un telefonino". Ne salvarono più di cento. Perché in fondo non fa mai abbastanza buio se vuoi salvare qualcuno.
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