Ucraina. Gualzetti (Caritas): «Così l'accoglienza dei profughi diventa a rischio»
Bambini ucraini con le mamme alla frontiera
Gli appartamenti per i profughi ucraini? «Ci sono, ma restano inutilizzati». L’accoglienza diffusa? «Senza risorse, rischia di rimanere una parola vuota». L’emergenza umanitaria, secondo il direttore di Caritas ambrosiana, Luciano Gualzetti, è una questione di numeri e di volontà politica. I numeri dimostrano che la solidarietà verso chi è in fuga dalla guerra è tanta, ma va governata bene, al di là dei proclami e dell’avvio farraginoso della macchina organizzativa. E la realtà resta il punto di vista migliore per organizzare una strategia efficace anche dal punto di vista del consenso. «Solo in Lombardia – spiega Gualzetti – ci sono circa 39mila profughi registrati. Di questi solo mille sono in strutture, che si tratti dei Centri di accoglienza straordinaria, i Cas, o del sistema Sai. Il 90% continua a vivere presso le abitazioni dei conoscenti, delle loro famiglie o di chi li ha intercettati nei loro percorsi di fuga».
Intanto sta partendo la piattaforma web che consentirà ai profughi di percepire i fondi previsti dal governo.
La verità è che le risorse fanno fatica ad arrivare. Chi farà domanda potrà ricevere i 300 euro al mese, per massimo tre mesi, più i 150 euro se minore, probabilmente da giugno, non prima. Sarà una boccata d’ossigeno per i profughi, certamente, forse non per tutte le famiglie che li hanno accolti. Molti ci hanno contattato negli ultimi giorni. Vengono a chiedere aiuto a noi, ma poi mancano gli strumenti per rispondere. Servono criteri ad hoc per gli enti gestori e i parametri richiesti attualmente dalla Protezione civile sono molto rigidi in termini di rendicontazione.
Faccia un esempio.
Come diocesi di Milano, abbiamo raccolto la disponibilità di 500 tra appartamenti e spazi abitativi dentro le nostre parrocchie. Solo 130 sono stati inseriti nelle convenzioni, con le relative coperture. Abbiamo più spazi di quelli che possiamo mettere a disposizione, in pratica. Gli altri posti saranno a nostro carico oppure resteranno inutilizzati. Il paradosso è che rischiamo di perdere opportunità per l’accoglienza, di questo passo. Il sistema va sostenuto dalle istituzioni, perché le soluzioni spontanee della prima ora adesso non reggono più.
Quali richieste state ricevendo in questa fase come Caritas?
All’inizio ci telefonavano per offrire disponibilità: ben 2.700 famiglie ci hanno contattato. Adesso ci chiamano perché emergono i primi problemi. Non possiamo rispondere dicendo che toccherà all’ente pubblico farsene carico. Pensiamo a sistemazioni di prossimità, per non alimentare tensioni: vogliamo tenere i cittadini ucraini vicino ai loro parenti, facendo gli abbinamenti più opportuni possibili. Ma i nodi legati alle difficili convivenze stanno arrivando al pettine. Senza dimenticare che altri profughi arriveranno nei prossimi mesi.
Sta dicendo che il nostro meccanismo d’accoglienza non funziona più?
Dico che servono politiche per l’immigrazione degne di questo nome e questa crisi ce lo sta dimostrando. Abbiamo un sistema ridotto ai minimi termini, dopo i decreti degli ultimi anni. L’ordinario è gestito dai grandi centri organizzati dalle prefetture ma manca una vera e propria politica d’accoglienza, salvo poi sentirsi dire, come nel nostro caso quando esplode un’emergenza, che sono necessari posti subito. Spesso non basta neanche trovarli, come dicevo prima. Se le cose però non vengono gestite bene, le tensioni inevitabilmente aumentano.
Il personale del Terzo settore è pronto per affrontare questa fase?
Questo è un altro capitolo importante. Stanno sparendo gli educatori. I turni sono pesanti e spesso diversi giovani vanno a lavorare in altri settori. Le figure professionali scarseggiano, chiudono anche cooperative che gestiscono centri per minori. Bisognerebbe riconoscere il lavoro del volontariato, anche qualificato, delle parrocchie.
Condivide le preoccupazioni dei sindaci in vista dei prossimi mesi?
Di sicuro, bisognerà fare molta attenzione agli equilibri sociali e alle dinamiche legate all’impoverimento, dopo due anni di pandemia. Stiamo lavorando anche con le scuole e con il mondo del lavoro per inserire i cittadini ucraini nelle nostre comunità, ma l’incertezza resta grande, tanto più che alcune persone che abbiamo ospitato sono già rientrate in patria. Quanto agli scenari che si aprono, torneremo a sentire le voci di vuole strumentalizzare la rabbia degli ultimi, purtroppo. E dovremo stare in guardia, a quel punto, dal rischio di una possibile guerra tra poveri.