Attualità

L'intervista. Violante: «Grillo fermati, questa è insurrezione»

Angelo Picariello venerdì 31 gennaio 2014
Il clima di che tiene sotto scacco la Camera da 48 ore è «frutto delle condizioni psicologiche di fru­strazione di chi, giunto in Parlamento con l’obiettivo di cambiare tutto, non è riuscito a cambiare niente». Luciano Violante, nel suo studio in largo di Tor­re Argentina, com­pulsa vecchi testi di politica con l’oc­chio alla tv sui lavo­ri di Montecitorio. Con un po’ di fatica trova quel che cer­cava: «Vede? Que­sta è la richiesta di impeachment per Cossiga. Io ne scris­si la bozza. E questa invece è la norma che legittima la 'ghigliottina', in­trodotta dalla Camera sotto la mia pre­sidenza ». Ma non l’applicò mai. Bastò minacciarlo, Lega e Forza Italia rinunciarono. Capirono che si sareb­be creato un grave precedente. Quella norma era stata concepita per porre rimedio al fatto che per i decreti legge il regolamento della Camera non con­sente di contingentare i tempi, cosic­ché l’ostruzionismo può puntare a far saltare la conversione in legge. Fu in­serita «in via transitoria» sul presup­posto che si intervenisse al più presto con le riforme, il che avrebbe ridotto la decretazione d’urgenza. Invece... Stavolta la minaccia non è bastata. Qui siamo di fronte a un’ escalation di toni ed iniziative dirette a impedire a­gli altri deputati di partecipare ai lavo­ri della Camera. Quel che sta acca­dendo non ha precedenti, neppure an­dando indietro alle leggi eccezionali di Bava Beccaris nel 1898, o al 1953, alle proteste in aula per la cosiddetta 'leg­ge truffa'. Qui stiamo andando oltre, siamo a un clima micro-insurrezio­nale. È arrivato anche per il M5S l’ora di porsi degli interrogativi. Che cosa direbbe a Grillo? Dubito che segui­rebbe i miei con­sigli. La loro è una reazione a un sen­so di impotenza che fa già registra­re molte voci cri­tiche all’interno del suo partito, e crea una situazione di difficoltà resa pale­se dalla mancata presentazione delle loro liste in Sardegna. Ai deputati di M5S direi di riflettere bene. Che cosa possono fare di più, dar fuoco al Par­lamento? Perché, se la situazione sfug­ge di mano non riusciranno a control­larla neanche i capi. Sono rammarica­to, mi creda. M5S poteva svolgere un ruolo fondamentale in questa crisi del­le istituzioni, ma rinunciando a con­frontarsi si è chiuso in un ghetto dal quale non sa come uscire. Inoltre c’è chi è più nuovo, giovane e dinamico, Matteo Renzi è anch’egli innovatore ma a differenza di Grillo si è posto il problema di uno sbocco costruttivo, condannandolo ancor più a una steri­lità politica che oggi produce forme di antagonismo violento. È capitato an­che a me di fare opposizione senza strategia e conosco il senso d’inutilità che prende in questi casi, ma non ab­biamo mai ceduto a comportamenti eversivi. Ora ci provano con la messa in stato di accusa di Napolitano. È solo l’ennesimo tentativo, privo di effetti concreti. Il capo dello Stato nel nostro ordinamento è il risolutore del­le crisi politiche. Questo spiega perché dalla presidenza Scalfaro in poi, dopo la crisi della Prima Repubblica, il ruo­lo si è fortemente sviluppato.Anche lei però chiese l’impeachment per Cossiga. Non voglio dire che quelle 20 pagine e­rano tutte acqua benedetta, ma certo non era una richiesta palesemente infondata e cervellotica come questa. Accusano Napolitano di promulgare leggi incostituzionali, di soffocare le opposizioni, e di tacere sulla presun­ta trattativa Stato­-mafia. Se si dovessero mettere in stato d’accusa tutti i presidenti che hanno promulga­to leggi poi sotto­poste a rilievi del­la Consulta non si salverebbe nessu­no. Le ragioni del­le opposizioni poi sono una tema che riguarda i pre­sidenti delle Camere. Su Stato-mafia è una bolla di sapone, come ha dimo­strato l’assoluzione del generale Mori. E Cossiga, invece? Quella era una questione molto seria, ricordo i contrasti con la magistratura, l’evocazione di Gladio come struttura segreta armata, l’appello ai Carabinie­ri per difenderlo. Gli diede del Vishinsky evocando le 'purghe' staliniane. Ma quando sostenni in aula l’accusa contro di lui sul caso di Marco Donat Cattin aveva apprezzato il mio com­portamento, tanto che poi diventam­mo amici. Mi svegliava alle 5 del mat­tino per fare colazione insieme. Poi, dopo quella vicenda del 1991, facem­mo in tempo a tornare in ottimi rap­porti. La legge elettorale può consentire di uscire da questo stallo? Il processo che si è aperto è molto po­sitivo e può aprire la strada a una sta­gione di riforme. Ma occorre fare pas­si avanti. Vede profili di in­costituzionalità? La legge va appro­vata. Ma ci sono quattro aspetti da ap­profondire. Il ri­schio che il premio di maggioranza possa raddoppiare i voti al partito maggiore se gli al­leati non superano la soglia. Il rischio che partiti non ap­parentati non tro­vino sbocchi in Parlamento anche con oltre 3 milioni di voti. E poi la manca­ta possibilità di selezionare gli eletti, con la preferenza o con collegi unino­minali. Infine non è garantita in con­creto la parità di genere. Vede ancora spazi per modifiche? Il combinato disposto di queste debo­lezze può creare rischi di costituzio­nalità, ma soprattutto alimentare il senso di distacco dei cittadini. L’ac­cordo sembrava blindato, ma Renzi e Berlusconi hanno mostrato di essere prudenti. Ora serve un altro piccolo sforzo.