Trieste. Graduatorie e case popolari, in Friuli adesso si rischia un altro "caso Lodi"
Una veduta di Trieste (archivio Ansa)
Per avere un alloggio popolare serviranno 5 anni di residenza in Friuli Venezia Giulia, non più 2. Lo ha deciso il Consiglio regionale, con i voti di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Progetto Fvg; contrari Pd, Cittadini, Patto per l’autonomia, Gruppo Misto, astenuto il Movimento 5 Stelle. L’unica concessione fatta dalla maggioranza che esprime il presidente Massimiliano Fedriga è che i 5 anni possono essere anche non continuativi, ma comunque dentro gli ultimi 8. Come è avvenuto altrove per i bonus scolastici (dalla mensa ai libri di testo), agli stranieri viene richiesta la documentazione – e non l’autocertificazione – che attesti la non proprietà di altri alloggi nel Paese di origine e nel Paese di provenienza di nessun componente del nucleo familiare.
Il governatore Fedriga aveva anticipato, a suo tempo, che i documenti dovevano essere certificati dalle autorità consolari o, ancora, dall’ambasciata. Restano invariati invece i due anni di residenza necessari per ottenere il sostegno alle locazioni. Nella legge è previsto che chi si rende autore di delitti di violenza domestica perde la casa e la titolarità viene trasmessa alle altre persone conviventi. «Credo sia capitato anche a qualcuno di voi – ha detto l’assessore Graziano Pizzimenti, motivando il provvedimento ai consiglieri – di aver avuto a che fare con famiglie di italiani che si sono lamentate perché avevano già ottenuto un alloggio, ma sono stati scavalcati in graduatoria da persone extracomunitarie residenti in Regione solo da due anni.
«Ci troviamo di fronte al primo grande scivolone della maggioranza – ha protestato Diego Moretti, capogruppo del Pd –: con l’intento di perseguire in maniera ideologica lo slogan “prima gli italiani”, alla fine gli italiani verranno sì prima, ma saranno i primi a pagare l’innalzamento a cinque anni dei parametri di accesso alle abitazioni di edilizia residenziale pubblica». Secondo i dati delle Ater, sarebbero infatti 311 gli italiani che non avrebbero più diritto ad una casa popolare in base ai nuovi criteri di accesso.