Gorizia. Fughe, rivolte e suicidi: il limbo dei migranti è a Gradisca
Un Cpr, Centro di permanenza e rimpatrio per i migranti. A Gradisca c'e n'è uno, ma anche un Cara, Centro di accoglienza per richiedenti asilo. In tutto quasi 800 migranti più o meno "chiusi"
Un Cpr che è una perenne bomba innescata che spesso esplode, tra rivolte, fughe e suicidi. Malgrado sia pieno poco più della metà perché, fatiscente, e soprattutto perché mancano le forze dell’ordine per la sorveglianza. Un Cara che invece scoppia col triplo di presenze rispetto alla capienza, obbligando a usare anche le tende. Decine di immigrati per strada o ospitati da parrocchia e comune. È Gradisca d’Isonzo (Gorizia), 6mila abitanti e quasi 800 immigrati, chiusi (più o meno) in condizioni pessime tra Cpr (86) e Cara (650), o senza alcun tetto.
«Ho scritto al ministero dell’Interno - ci dice la sindaca Linda Tomasinsig – riproponendo la nostra richiesta: chiudere le strutture. Per il Cpr per l’inefficacia dello strumento, perché è un luogo sconvolgente. Le condizioni del trattenimento sono ai limiti della dignità umana e le condizioni di lavoro degli operatori sono molto difficili. Per il Cara chiediamo che si passi ad un’accoglienza diffusa sul territorio, più sostenibile e equa. Il presidente della Regione dice che l’accoglienza diffusa è stata un fallimento ma io ho l’esempio di alcuni comuni limitrofi al nostro che tuttora stanno accogliendo qualche decina di persone in appartamenti e non hanno alcun problema, e soprattutto non hanno i problemi che abbiamo noi».
Ma la risposta del Viminale è stata negativa. «Per il Cara ci risponde che il sistema dell’accoglienza è saturo, che ci sono problemi, che non si riesce a farne a meno. Ma evidentemente non si vuole organizzare l’accoglienza in modo diverso». E così il sovraffollamento resta.
Mentre nel Cpr la capienza è di 150 persone ma i presenti sono meno di 86. Una situazione simile agli altri Cpr. «Ci sono molti posti vuoti e quindi non c’è la necessità di realizzare nuovi Cpr come vorrebbe fare il governo. Sono sottoutilizzati o perché le strutture sono semidistrutte, fatiscenti oppure, come accade a Gradisca, non ci sono forze dell’ordine sufficienti sul territorio per poter organizzare i turni di sorveglianza esterna. Devono venire anche da fuori regione».
E intanto si ripetono rivolte, danneggiamenti, incendi e fughe come quella di tre tunisini il 17 dicembre, nel corso di una rivolta, e di un altro tunisino il 20 dicembre. A conferma della difficoltà a tenere la struttura sotto controllo che, lo ricordiamo, ospita, assurdamente insieme, sia chi proviene dal carcere sia chi è solo irregolare sul nostro territorio e destinato all’espulsione. Ma la sindaca non è meno preoccupata dalla situazione nel Cara. «Ci sono 650 persone su una capienza di 200. Sono persone che arrivano dalla rotta balcanica, via terra. Pakistani e afghani, soprattutto, ma anche turchi e perfino nepalesi. Da anni abbiamo la struttura sempre piena. Non c’è bisogno di nuovi Cpr ma di posti di accoglienza, è una necessità. Abbiamo dovuto allestire un dormitorio nella parrocchia per le persone che non trovano posto in accoglienza e stavano per strada. Ne ospita 15-20. Almeno per la notte. Ora fa molto freddo. Abbiamo due volte a settimana l’ambulatorio medico, le docce, la colazione, vestiti puliti». Un sovraffollamento che si ripercuote sul territorio.
«Le camerate sono piene, nelle tende si sta male, e allora sono sempre fuori, in giro in città o sui prati attorno al Cara. Coi tagli decisi dal governo nel Cara tutti i servizi sono stati ridotti. I corsi di italiano non ci sono più, la mediazione e il supporto legale sono stati ridotti al minimo. E quindi non hanno motivo di restare dentro». Un quadro confermato anche da Giovanna Corbatto, fino a marzo garante comunale per i diritti delle persone recluse, formalmente ancora in carica fino alla nomina del nuovo garante, ed ex coordinatrice nazionale del programma dei corridoi umanitari di Caritas italiana.
«Continua la sbagliata e pericolosa commistione tra chi ha commesso reati, e viene dall’esperienza carceraria e chi ha l’unica “colpa” di non aver avuto il riconoscimento di rifugiato. Entrambi destinati al rimpatrio ma evidentemente si tratta di casi molto diversi. Bisognerebbe distinguere tra le due tipologie, per provare a fare interventi diversi. Ma non ci vengono comunicati i dati. Una linea che gli ultimi provvedimenti del governo aggravano». Eppure, sottolinea anche lei, «nel Cpr di Gradisca, così come negli altri, sono molto meno della capienza perché non c’è abbastanza polizia. Non riescono a mantenere il rapporto numerico previsto tra numero di trattenuti e forze dell’ordine».
E così le “celle” restano vuote. E la mancanza di forze dell’ordine rallenta anche i rimpatri. Infatti sono prescritti tre uomini per accompagnare un rimpatriato. E così si riesce a fare una notifica di rimpatrio al mese. «Gli altri tornano in giro, dopo i 120 giorni massimi previsti di detenzione, anche perché funzionano i rimpatri solo con Tunisia, Egitto, Nigeria, Albania e Georgia. In gran parte provengono dal carcere, tranne i tunisini che vengono dagli sbarchi». Scelte sbagliate, politiche sbagliate ma anche la «mancanza di alcune piccole attenzioni. Ho dovuto protestare affinché un nigeriano venisse messo in cella con suoi connazionali invece che con arabi. Non poteva neanche parlare con qualcuno. Tutto il giorno in silenzio».