Attualità

L'intervista. Gozi: «No all'Europa dei governi»

Vincenzo R. Spagnolo lunedì 21 aprile 2014
«L'Europa non ci è ostile, né potrebbe esserlo, perché l’Europa siamo noi, 500 milioni di cittadini da Lampedusa a Stoccolma. Ed è vitale che, prima del voto di maggio, i potenziali elettori italiani e degli altri 27 Stati membri lo comprendano...». Il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, accompagna le parole col movimento delle mani mentre dalle vetrate del suo ufficio filtrano raggi di sole e scampoli d’azzurro del cielo di Roma. Nubi minacciose offuscano, invece, l’orizzonte politico: «Le proteste eurofobiche, con venature di antipolitica in Italia, estremiste e xenofobe in Francia e Paesi Bassi o neonaziste in Ungheria, e il rischio di astensionismo sono campanelli d’allarme. Gli euroscettici parlano alla pancia dei cittadini, vellicano le loro paure, facendo montare atteggiamenti come il razzismo. Ma cosa accomuna il regionalista leghista Salvini alla nazionalista francese Le Pen? Nulla, solo la volontà di distruggere l’Unione...»E invece come si convince un abitante di Genova, Bari o Canicattì che è necessario rafforzarla? Non è semplice. Bisogna dargli dimostrazione che più la Ue è forte, più gli sarà vicina nei problemi di ogni giorno.Durante la crisi economica, imprese e cittadini non pare abbiano percepito tale vicinanza...È vero. L’Europa è stata lenta e confusa nell’affrontarla. Quando la tempesta finanziaria si è abbattuta sull’edificio europeo, mancava il tetto, cioè un meccanismo di risposta coeso sotto il profilo politico, economico e sociale. Alcuni "appartamenti" come quello della Germania, si sono bagnati meno perché avevano fatto le riforme, altri meno ristrutturati, come Grecia, Spagna, Italia o Irlanda, si sono allagati. Non solo: le scelte adottate sono state poco "condivise"...A cosa si riferisce?Alcuni governi, sotto l’egemonia tedesca di Angela Merkel, hanno teorizzato la necessità di ricorrere al "metodo dell’Unione", bypassando spesso il Parlamento e decidendo in vertici di capi di Stato e di governo, con strategie concordate dietro le quinte. Un sistema verticistico e, in definitiva, poco efficace: si sarebbe potuto risolvere la crisi della Grecia in due mesi e invece ci si è messo due anni...I protagonisti di quella stagione non saranno d’accordo con lei...Può essere, ma resto della mia idea. E per questo, insisto sulla centralità del Parlamento di Strasburgo, per il quale andremo a votare. Se qualche passo in avanti si è fatto, è stato col metodo "comunitario", ad esempio sull’unione bancaria: in futuro, i cittadini europei potranno confidare in meccanismi che, in caso di errori, facciano pagare i costi a banche e azionisti e non ai contribuenti. Ciò detto, non può bastare una politica di sola austerity...Occorre ancora una deroga al tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil?No, il governo Renzi non chiede eccezioni, ma ha avuto il coraggio di reinterpretare le regole europee: il Def e il Programma nazionale di riforma lo mostrano. Peraltro, l’inattualità di alcuni paletti è palese: quando vennero posti, si pensava che ci sarebbe stata una crescita del 2% e invece non c’è stata, che l’inflazione sarebbe stata del 2 ma è stata più bassa, che l’impatto della crisi sarebbe stato forte e invece è stato devastante. Occorre passare da politiche economiche "a taglia unica" ad altre che accompagnino i diversi Paesi verso una crescita a misura. È questo, renzianamente parlando, il «cambiare verso» che l’Italia chiede all’Europa. Nel frattempo, Bruxelles sollecita a Roma riforme vitali: la burocrazia e la lentezza dei processi civili ci costano miliardi di euro...Le riforme ci saranno, ma basta con la retorica del "vincolo esterno": vanno fatte perché sono necessarie, non per il pressing di Bruxelles. È tempo di superare la sindrome di Calimero: non siamo né più piccoli né più "neri" di altri Paesi. Cambieremo pubblica amministrazione, giustizia e mercato del lavoro e così potremo affrontare con autorevolezza la guida del semestre europeo. In più, serve una riforma elettorale che favorisca la stabilità di governo e dobbiamo liberarci da un bicameralismo suicida, assolutamente inadeguato a questo secolo: non possiamo permetterci discussioni di 4 anni fra Camera e Senato per approvare una legge.Intanto continuiamo a essere bacchettati con procedure d’infrazione, che costeranno milioni di euro. Non la preoccupa?Sono estremamente preoccupato della situazione che ho trovato. A cosa è dovuta? In parte alla scelta dei due precedenti governi di non accentrare le decisioni a livello di Presidenza del Consiglio delegandole alle singole amministrazioni, ma anche alla mancata attuazione della legge 234/2012, che non ha fatto entrare in funzione i nuclei operativi europei, e alla patologia italiana delle ripartizioni di competenze fra Stato e Regioni, che spesso sono in ritardo o sbagliano a recepire le direttive. Pensi al settore dell’Ambiente, dove una sola infrazione può costarci 800 milioni di euro più altre decine di migliaia al giorno in interessi, senza contare emergenze criminali come la Terra dei fuochi, che tocca la salute dei cittadini...Come si può rimediare?In prospettiva, cambiando il titolo V della Costituzione. E nell’immediato stiamo lavorando a un pacchetto speciale "semestre europeo 2014" per limitare drasticamente le infrazioni: non potremmo presiedere l’Europa senza dimostrarci virtuosi a nostra volta.E sui debiti della P.A.? il vicepresidente uscente della Commissione Ue, Tajani, sostiene che l’Italia sia già in infrazione...Non è vero, c’è un dialogo in corso con la Commissione, che incontreremo il 5 maggio. E mi spiace che un commissario uscente, ora candidato con Forza Italia, usi certi argomenti a fini di campagna elettorale. È un tema serio, da cui dipende la vita delle imprese e quelli di lavoratori e imprenditori, come mostrano i suicidi di questi anni. Sto correggendo la legge europea 2013 bis e il modo in cui l’Italia recepirà la direttiva comunitaria, per garantire pagamenti a 30 e 60 giorni, e il ministro Padoan sta mettendo a punto il sistema per evitare nuovi ritardi in futuro.Insomma, risposte concrete ad esigenze reali...Sì. La politica italiana e quella europea, anche quando parlano alla pancia della gente, devono farlo per far funzionare la testa. Dobbiamo saper dire onestamente cosa non va, per poterlo cambiare. I cittadini non vogliono un’Europa di burocrati, che dica loro solo come debbono servire l’olio a tavola. E non la voglio io e neppure il governo Renzi...E quale Europa vorrebbe, invece?Un’Europa capace di investimenti in crescita e occupazione, di politiche attente e solidali nel far fronte all’immigrazione e senza balbettii in politica estera di fronte alla questione ucraina. Questa Europa non c’è ancora, in parte per miopie ed egoismi dei governi nazionali. Ma se tutti insieme ci impegniamo, ci sarà.