Governo. Cuneo e reddito di cittadinanza, gli scogli sulla rotta della manovra
Tempo di manovra. La premier Giorgia Meloni e il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti
Ultime ore tra Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia per la messa a punto della legge di bilancio. L’appuntamento per il varo in Consiglio dei ministri è confermato per questo lunedì, quando arrriveranno «importanti iniziative», ha detto Giorgia Meloni. Il rush finale per arrivare alla meta resta tuttavia accidentato.
Ed è sul taglio del cuneo fiscale che si gioca forse la partita più importante. Mentre fa discutere l’idea di azzerare l’Iva su pane, pasta e latte: una mossa che i consumatori definiscono «un bluff» perché, numeri alla mano, avrebbe ricadute minime sulla spesa delle famiglie: in media un paio di euro al mese. Il capo del governo comunque rassicura: «Siamo al lavoro su una legge finanziaria attenta a famiglie e imprese, con particolare attenzione ai redditi bassi. Un provvedimento per fronteggiare il caro bollette e sostenere milioni di cittadini».
Dopo il vertice di maggioranza di venerdì, anche ieri il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti è tornato a parlare del taglio del cuneo fiscale. Oggi è in vigore una riduzione di 2 punti del carico contributivo sui redditi fino ai 35mila euro disposta dal governo Draghi. Si tratta di una misura in scadenza che, ha spiegato Giorgetti, «non è attualmente finanziata per il 2023. Volontà del governo è non solo rinnovarla per il prossimo anno ma anche aumentarla per i redditi più bassi dei lavoratori», ha aggiunto.
I contenuti dell’intervento non sono però ancora definiti. Solo rinnovare la misura attuale costa 3,5-4 miliardi. Se poi il taglio salisse al 3%, come ventilato dal ministro, la spesa salirebbe ad oltre 5 miliardi. Costringendo il governo a ridurre altri interventi dato che l’ammontare complessivo della manovra, intorno ai 31-32 miliardi, non sembra in discussione. 21 miliardi arriveranno dal nuovo deficit, ma andranno tutti a al contrasto del caro-energia. Il resto deve arrivare da tagli di spese o nuove entrate.
L’altro corno del problema è a vantaggio di chi deve andare il taglio del cuneo. Draghi optò per mettere tutto nelle buste paga, con un beneficio di circa 25 euro al mese per un reddito intorno ai 25mila euro annui. Cifra che ora Giorgetti vorrebbe aumentare, anche se con effetti modesti sui salari: un punto in più potrebbe valere al massimo una quindicina di euro per i redditi più vicini alla soglia massima.
L’alternativa è destinare parte delle risorse a una riduzione dei costi per le imprese. Come continua a chiedere Confindustria, che nella sua proposta spinge per dare un terzo dello sgravio alle aziende e due terzi ai dipendenti. Ma se il governo applicasse questo criterio su un taglio del 3% i lavoratori non avrebbero un euro in più rispetto a oggi, dal momento che la riduzione di due punti è già in vigore. Con l’inevitabile presa di distanza da parte dei sindacati.
Un bel rebus, mentre anche sul taglio del Reddito di cittadinanza si profilano spinte contrapposte. L’obiettivo del governo è ridurre la spesa per il sussidio anti-povertà, revocandolo ai circa 650mila beneficiari che, almeno sulla carta, possono lavorare. Il sottosegretario Durigon ipotizzava un decalage del sussidio dopo i primi 18 mesi.
Ma Palazzo Chigi ora spinge per un intervento più drastico. Altri sei mesi di assegno poi basta. Un modo per recuperare circa un miliardo di euro dal fronte della povertà e trasferirlo sul capitolo pensioni e salvare così almeno un pezzettino della Quota 41 “bandiera” della Lega.
Ma, anche al netto degli allarmi lanciati dal mondo delle associazioni contro il ridimensionamento del Rdc, emergono resistenze in campo politico. Come quella del governatore della Calabria, Roberto Occhiuto (Forza Italia), che frena: «In un momento come questo, tra inflazione alle stelle e venti di recessione il Reddito non si può cancellare», ha sottolineato.
Intanto è polemica sull’annunciato taglio dell’Iva su pane, pasta e latte definito «una presa in giro» dall’Unione nazionale consumatori. «Considerato che secondo i dati aggiornati dell'Istat la spesa annua per una famiglia media è pari a 261,72 euro per il pane, 142,08 per il latte, 140,40 per la pasta, il finto risparmio teorico sarebbe pari ad poco più di 10 euro per il pane, di 5 euro per la pasta e , di 6 euro per il latte, per un totale di 21 euro e 56 cent in un anno», afferma l’associazione Una «cifra irrisoria» che «andrebbe nelle tasche dei consumatori solo nella fantasiosa ipotesi che i commercianti trasferissero matematicamente tutto il taglio Iva sul prezzo finale».