Attualità

L'analisi . Governo e credito, sugli extraprofitti è necessaria cautela

Roberto Petrini mercoledì 9 agosto 2023

La Borsa di Milano

Per quanto i banchieri producano “denaro a mezzo di denaro”, non sono più quei tipi avidi con la tuba che George Grosz caricaturizzava ai tempi di Weimar. Al contrario del far-west della turbofinanza il sistema creditizio è una struttura controllata, vigilata dalle banche centrali, sottoposta ad un meccanismo di rating minuzioso: diciamo che è il sistema nervoso centrale del nostro capitalismo. In altre parole la stabilità delle banche è la stabilità delle nostre economie. Certo ci si può lamentare delle commissioni sul conto corrente, dei tassi dei mutui o dell’impiegato distratto, ma impugnare ruvidamente la pialla appena i profitti tornano a scorrere nelle casse dei nostri istituti di credito può solo raccogliere consensi in chi crede, superficialmente, in una economia alla Robin Hood destinata a provocare danni. In primo luogo perché il ritorno dei profitti nelle banche non è una crudeltà del capitalismo moderno ma semplicemente la conseguenza del fatto che dopo anni di remunerazione negativa con tassi sotto zero la Bce ha ricominciato ad aumentare i tassi per combattere l’inflazione. Quelli che vengono dunque definiti “extra” profitti non sono altro che il frutto di un processo di normalizzazione: in tutti i cicli di restrizione monetaria c’è un riflesso sui rendimenti di attività e passività, esattamente simmetrico a quanto avviene nei periodi di espansione.

In secondo luogo la tassazione dei profitti da margini di interesse, come dimostra anche la reazione turbolenta dei mercati, perpetua la percezione tra gli investitori che le banche europee non potranno mai garantire una remunerazione adeguata per gli azionisti. Si fa largo l’idea dunque che appena le banche cominciano a guadagnare debbano pagare pegno allo Stato. Peraltro, la remuneratività delle banche, a livello europeo, non è nemmeno esaltante: quello che i tecnici definiscono price to book ratio, che misura la capitalizzazione di Borsa rispetto al valore contabile della banca, è ancora sotto il 100%. Ciò significa che il mercato valuta decisamente insufficiente la redditività delle banche quindi non in grado di coprire la remunerazione chiesta dagli azionisti per investire nelle aziende di credito.

La terza questione riguarda la liquidità. Entro la fine dell’anno le nostre banche dovranno restituire alla Bce per la scadenza dei prestiti che vanno sotto il nome di Tltro (Targeted longer term refinancing operation): il dovuto è 37 miliardi, a tanto ammonta la differenza tra quanto avuto in prestito (318 miliardi) e la liquidità depositata a Francoforte (281 miliardi). Una somma notevole alla quale il sistema italiano si trova a dover far fronte: lo sforzo è sostenibile, come ha sottolineato nei giorni scorsi l’Abi, grazie alla ingente quantità di depositi, superiori a quelli di Francia e Germania. Una situazione che non potrà tuttavia proseguire all’infinito se i tassi continueranno a salire, con la conseguenza di intaccare la gran massa dei denari risparmiati durante il Covid: perché i titoli di Stato ora sono più attrattivi e le imprese in fase di calo della domanda preferiscono utilizzare i propri depositi in conto corrente. Tutto ciò ci dice che ci vuole una certa cautela quando si ragiona sul sistema nervoso centrale dell’economia.