La storia. Goran Kuzminac: «Io, l'Abruzzo e il mio inverno rurale da primo '800»
Il cantautore Goran Kuzminac
Ho pensato molto in questi giorni. Perché ho avuto un sacco di tempo per pensare. Sono passato da una società iper-tecnologica a una situazione di inverno rurale contadino d’inizio Ottocento. Tutto in meno di 24 ore. Abito da qualche anno in Abruzzo. Una vecchia casa, sulla cima di una collina. La strada provinciale passa a trecento metri di distanza. Il paese più vicino è Cellino Attanasio, a circa tre chilometri. Il meteo prevede neve. È normale. L’aria fredda dei Balcani, sorvolando l’Adriatico, si carica di umidità e ricopre il centro Italia di neve. Ripeto: «È normale!». Inizia la prima nevicata, abbondante ma soffice, portata da un vento teso, e subito si fa buio. Sono le 6 del pomeriggio e tutta la valle è scura, senza illuminazione. Cerco una candela nel cassetto delle emergenze. Ne è rimasta qualcuna da Natale.
Aspetto e guardo un po’ preoccupato il cellulare. L’ho caricato di notte e ora sta al 60%. Ok, ce la posso fare, e ho la linea fissa per eventuali emergenze... Peccato sia caduta anche quella. Sono le otto e mezza di sera. Ho la stufa a legna. Il riscaldamento non funziona. Andrebbe a metano, ma il bruciatore senza corrente non si accende. Aggiungo un altro piumino nel letto. Riaccendo il cellulare, 50% di carica, chiamo il 187. Un’allegra vocina femminile mi informa che ci sono problemi sulla linea, e di collegarmi al loro sito per sapere l’avanzamento dei lavori. Con cosa mi collego??? Vado a dormire.
Fa sempre più freddo. Alle sei sono sveglio. Alla luce della candela mi infilo due maglioni e preparo il caffè. Appena fa luce, mi dico, prendo la cesta e mi avvio alla legnaia. Ma la porta di casa non si apre. Il vento ha accumulato un metro di neve. Spingo con tutte le forze e riesco ad aprire un varco di trenta centimetri. Ne cade in casa mezzo metro cubo, accidenti! Ma esco, e mi trovo davanti un paesaggio incredibile. La neve si è accumulata in dune altissime, portate dal vento.
Arrivare fino alla legnaia significa sprofondare fino al petto. Ci met- to mezz’ora. Riesco ad aprire la porta della legnaia. Con il cuore in gola per lo sforzo, carico la cesta e rientro in casa. Ma non basta. Faccio cinque o sei viaggi, e accumulo legna vicino alla stufa. Telefono? Muto. Corrente elettrica? Nemmeno l’ombra. Strano. Sono le due cose primarie in ogni emergenza: la comunicazione e l’energia. Invece sono scomparse per prime. Mi piacerebbe avere qualche notizia, ma senza corrente non funziona nulla. Tranquilli, ho la stufa e da mangiare. Pasta e riso. Anche fagioli secchi e qualche chilo di farina. I miei nonni dicevano che, se hai la farina, puoi sopravvivere alla guerra, e perciò io ne ho sempre un po’ di scorta. Sulla strada la neve si è accumulata e non è passato nessun mezzo comunale.
Chiamo un mio amico in paese: il nuovo sindaco ha dichiarato che lo spazzaneve è guasto! Normalmente in questi casi un amministratore ne affitta tre, o ne precetta venti, ma il problema lo risolve, mentre qualche meccanico aggiusta il mezzo del comune. Continua a nevicare e non si distinguono più i bordi della strada. Il telefonino è quasi senza carica. Sono passate già 24 ore dall’inizio della nevicata, e sono sempre isolato e al buio. Penso a quei poveracci in paese che non hanno una canna fumaria e una stufa a legna. Io almeno sto al caldo. Una stanza sola, al buio ma al caldo. Alle otto di sera sono di nuovo a letto. Sono stanco e stavolta mi addormento subito.
Ovviamente mi sveglio alle cinque. Nella stufa ancora braci. Aggiungo legna e faccio il caffè. Arrivare alla provinciale nemmeno parlarne. Alla luce del fuoco, impasto un po’ di farina e preparo il pane arabo. Alle sette, quando il cielo schiarisce, faccio una bella colazione con pane, burro e marmel-lata, ed esco armato di pala. All’improvviso mi arriva una chiamata da un numero sconosciuto. Sarà qualcuno della protezione civile, dell’esercito, della finanza, chissà. Rispondo con l’ultimo gemito della batteria, e una voce femminile con accento rumeno mi propone un abbonamento a Tim vision... Fine della civiltà. Non sarebbe elegante dire come rispondo. Si sono accumulati sei giorni senza corrente elettrica e senza linea telefonica. Sei giorni nella neve, con una stufa a legna e una lampada fatta con olio di oliva e stoppino di cotone. Nessun mezzo antineve sulla strada, nessuna voce, nessun rumore. Sei giorni lavandosi con l’acqua calda del pentolone sulla stufa. E non ho parlato del terremoto... Ma ce la faremo anche stavolta!
E quelli che non ce la faranno, avranno la consolazione morale della parola dei politici: stiamo lottando contro il tempo, è una situazione imprevista, non è il momento delle polemiche, dobbiamo restare uniti. Forse la più toccante e sentita è stata pronunciata dal nostro presidente della regione D’Alfonso: l’Abruzzo non è abituato alla «nevosità». L’Abruzzo, questa ridente regione, si trova alla stessa latitudine dei Caraibi.
* Cantautore (tratto dalla sua pagina Facebook, per gentile concessione)