Lotta alla malavita. Gli stipendi del clan? Con i soldi delle slot
I soldi delle slot machine per pagare gli 'stipendi' del clan. Dei boss in carcere e delle mogli, soprattutto, ma anche di quelli ancora in libertà. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta 'Nereidi' della Dia di Napoli, che una settimana fa ha portato in carcere la sorella e tre cognate del boss Michele Zagaria (LA CRONACA).
È la conferma che l’azzardo è centrale negli affari delle cosche, subito dopo il traffico di stupefacenti, come più volte sottolineato dai magistrati. E non solo le slot. Proprio a Casapesenna, 'feudo' di 'capastorta', uno dei soprannomi di Zagaria, si continuano ad aprire sale giochi e soprattutto sale scommesse. E c’è il forte sospetto che dietro ci siano i giovani della 'famiglia' che, con quasi tutti i capi in carcere, stanno continuando a tenere sotto controllo territorio e affari. Anche in modo più spavaldo.
A raccontare l’affare slot e il suo prezioso utilizzo per pagare gli 'stipendi', è il collaboratore di giustizia Raffaele Venosa, uomo considerato molto vicino a Michele Zagaria. Una testimonianza piena di omissis a conferma che le inchieste sul clan sono tutt’altro che finite e che probabilmente molto presto avremo nuove sorprese. «Convocai presso la mia abitazione... omissis...e...omissis..., i due mi confermarono che erano loro e gestire la cassa. Dissi loro che da quel momento in poi, si dovevano mettere da parte e che avrei provveduto io a fare gli stipendi e a gestire la cassa per conto del gruppo Schiavone e Venosa, mentre per gli Zagaria vi era un’autonoma cassa gestita da Capaldo Filippo (nipote di Michele Zagaria, attualmente in carcere, ndr) ed analogamente la cassa del gruppo Bidognetti era gestita autonomamente da...omissis... Posso riferire ciò, in quanto, io, per un verso, cercai di prendere anche la cassa del gruppo Zagaria ma il Capaldo Filippo mi mandò a dire che provvedeva lui direttamente anche perché avevano un diretto rapporto con chi le macchinette cioè l’attività di videogiochi dalla quale provenivano gran parte delle entrate. Tale notizia, il Capaldo me la inviò tramite Fontana Pasquale detto o’ russo che mi disse che i loro diretti riferimenti nel settore dei videogiochi erano Peppe o’ marmularo, proprietario o gestore delle macchinette, insieme al fratello che si chiama se non erro Giovanni».
Questi ultimi sono i fratelli Giuseppe e Giovanni Garofalo, detti i 'marmulari' ai quali Zagaria aveva affidato il sistema dell’azzardo, in particolare nei comuni di Casapesenna, San Marcellino, Trentola Ducenta e Villa di Briano. Qui avevano la «pressoché monopolistica gestione di internet point, sale giochi, bari e centri scommesse, nonché l’esclusiva distribuzione e gestione di slot machine».
Un controllo totale che è proseguito anche dopo l’arresto dei due fratelli, come conferma l’ultima operazione sulle donne del clan. E malgrado alcune pesanti condanne. Dieci giorni fa l’imprenditore Alberto Di Cierbo, titolare della Ese Italia - Evolution Softaware Engineering S.r.l., attiva nel settore del noleggio e distribuzione delle slot è stato condannato a dieci anni di reclusione per concorso in associazione di stampo camorristico e concorrenza sleale per il monopolio delle 'macchinette' nei bar dall’Agro aversano, con l’aiuto del clan dei 'casalesi' e in particolare della famiglia Zagaria, alla quale versava la metà degli introiti.
E questo spiega quanto questo sistema sia importante e prezioso per il clan al punto di non mollare l’affare malgrado inchieste e condanne, come le 17 tra 3 e 11 anni dello scorso luglio per l’operazione 'Doma' sempre della Dia di Napoli. Così ora tocca alle nuove generazioni, ragazzi poco più che ventenni ma diretti discendenti dei fratelli Zagaria. Una storia tutt’altro che finita.