Egitto. «Gli stessi aguzzini di Giulio». Nuove mobilitazioni per Zaki
Il flash mob a Bologna per Patrick Zaki
Cresce la preoccupazione per la sorte di Patrick George Zaki, ricercatore egiziano di 27 anni arrestato venerdì all’alba al suo arrivo all’aeroporto del Cairo. Studente del master Gemma sugli Studi di genere di Bologna dallo scorso settembre, Zaki è detenuto nel carcere della sua città, Mansoura, dove è 'riapparso' dopo oltre 24 ore di custodia cautelare senza che gli fossero concessi contatti con familiari e avvocati. È accusato di fomentare manifestazioni antigovernative, pubblicare notizie false sui social minando l’ordine pubblico, promuovere l’uso della violenza e danneggiare l’immagine del Paese. Secondo il suo avvocato, che ha potuto incontrarlo per alcuni minuti sabato, come la famiglia, il ragazzo è stato picchiato e torturato mediante cavi elettrici per sette ore.
«Non vedo nessuna ragione legale perché Patrick sia trattenuto in custodia, non sussiste alcun rischio di inquinamento delle prove o fuga. Ormai, da due anni a questa parte in Egitto si utilizza la detenzione preventiva come una punizione. Di fatto, è la pena ancora prima di essere giudicati ». Così Amr Adbulrahman, direttore dell’Ong Egyptian initiative for personal rights (Eipr), con la quale il ricercatore e attivista Zaki collabora, spiega ad Avvenire il clima di tensione che la società civile sta vivendo. Zaki «non aveva nessun timore nel rientrare per vedere la sua famiglia e neanche noi per lui», prosegue Abdulhrahman, che aggiunge: «Siamo in grande allarme, per lui innanzitutto, ma anche per tutti noi. Il nome di Patrick non risultava in nessuna lista di personalità sgradite al governo. Non c’erano segnali contro di lui. Questo vuol dire che questo governo non ha limiti: siamo a rischio tutti noi che lottiamo per le libertà personali. Quelle dei detenuti, delle donne, dei minori, delle minoranze. Siamo di fronte ad una accelerazione inattesa».
L’impressione è che «per il regime il ricordo della rivoluzione del 2011 sia un trauma ancora vivo. Il governo teme che una qualsiasi, seppur lieve, apertura alla libertà di espressione possa condurre a un’altra rivoluzione. Ecco perché la reazione è sempre più violenta ». Contro Patrick – che sui propri account social si esprimeva a favore delle comunità cristiane cacciate dal Sinai Settentrionale a causa dell’avanzata degli jihadisti dello Stato islamico, per i diritti delle minoranze Lgbt e per la soluzione del caso Regeni – è già iniziata una campagna di denigrazione sui media filo-governativi.
La richiesta dei vertici di Eipr – e di Amnesty international – è quella di non spegnere i riflettori sulla vicenda: «Fate tutto quello che è in vostro potere presso le rappresentanze diplomatiche egiziane in Italia e nel mondo, esercitate pressione politica e mediatica. La situazione è grave. Altri membri di questa Ong sono stati arrestati e trattenuti negli scorsi mesi, ma sempre rilasciati dopo 48 ore. Patrick rischia l’ergastolo», sottolinea Amr Abdulrahman. A sostegno del giovane, il Cda dell’ateneo bolognese, che ha costituito una unità di crisi ad hoc. L’arresto di Zaki, per il quale è stato emesso un ordine di custodia di 15 giorni, rinnovabile per due anni seconda la legge egiziana, riporta alla mente il brutale omicidio di Giulio Regeni.
Non a caso, il legale della famiglia friulana ha commentato: «Ad arrestare Patrick sono stati gli stessi aguzzini di Giulio, gli uomini dei servizi segreti. Lo hanno arrestato per i suoi studi in Italia ». A quanto si apprende da Bruxelles, Roma ha richiamato l’attenzione europea sulla nuova crisi esplosa con l’Egitto. Cauta la risposta: «Siamo al corrente del caso e lo stiamo valutando con la nostra delegazione in Egitto», ha dichiarato ieri il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). Intanto, per Patrick George Zaki il prossimo colloquio con i genitori e l’avvocato è previsto per giovedì 13. Per il 22, invece, è prevista la prima udienza, cui – a sorpresa – la Procura cairota ha deciso di concedere ai diplomatici italiani di assistere.