Attualità

AGESCI. Gli scout: ridoniamo il sorriso ai bambini

dal nostro inviato Paolo Lambruschi giovedì 9 aprile 2009
Un piccolo campo di calcio nel centro della tendopoli, un urlo per farsi pas­sare la «biglia», il pallone calciato dal bambino biondo verso la porta fatta con due bottiglie di acqua minerale, la gioia per il goal. Squadre miste, scout dell’Agesci e bam­bini che da 36 ore circa vivono in una tenda nel campo base di Piazza d’Armi, accanto alla caserma dei carabinieri, zona bassa del­l’Aquila, sotto il centro città raso al suolo. «Oggi è il primo giorno che giocano - dice sorridendo il capo scout Manuela Colaiaco­vo - forse sono i primi momenti spensiera­ti. Abbiamo portato oltre al pallone anche il materiale per farli disegnare e cantare». So­no come i loro «lupetti», questi piccoli dai 6 ai 12 anni che hanno perso tutto. I volonta­ri dell’Agesci li hanno subito preso in con­segna. Ne hanno censiti 130, il 25% sono fi­gli di immigrati soprattutto sudamericani. Indossano magliette della Gmg di Sidney portate dai volontari dell’Unitalsi, che a tur­ni di cinque camion alla volta distribuisco­no costantemente alimenti, indumenti, pan­nolini e coperte da distribuire ai senza tet­to. «Martedì - prosegue Manuela, 24 anni, di Sulmona, laureata in Scienze sociali - ab­biamo iniziato alla mattina presto a invita­re le famiglie con figli piccoli a spostarsi ne­gli alberghi sulla costa. Ci hanno dato retta in tanti, ma altri non ne vogliono sapere, vo­gliono stare vicino alla loro casa». Ma diver­si immigrati non vogliono lasciare L’Aquila perché sono irregolari e temono di venire e­spulsi. Gli scout sono volontari, hanno dai 24 ai 35 anni e sono tutti capi appartenenti alla pattuglia nazionale, che l’associazione a messo a disposizione del Dipartimento della protezione civile. Dalle prime ore del­la tragedia si sono messi a montare tende. O­ra sono presenti in sette aree e svolgono at­tività di animazione e supporto per anziani e bambini. «I primi - prosegue la giovane abruzzese ­hanno bisogno di essere ascoltati, oltre a me­dicine per i vari malanni. I bambini, dopo le prime ore di smarrimento, cercano di reagi­re con il gioco». Qualcuno parla al passato della classe e del­la scuola, come se il terremoto avesse can­cellato tutto. Un altro confessa di aver vo­mitato tutto il giorno. I volontari dovranno aiutarli a tornare, per quanto possibile, alla normalità. Gli scout si fanno anche porta­voce degli inevitabili disagi. Ad esempio in questo campo ci sono pochi servizi igienici. Fuori dalla tendopoli alcune famiglie si o­stinano a voler dormire in auto. Sono sedu­ti sul marciapiedi, le facce di chi non dorme da giorni. Accanto hanno alcune borse di plastica con dentro tutti i loro averi. Uno dei prossimi obiettivi dei volontari è contattar­li. Il gruppo dell’Agesci a Piazza d’Armi è com­posto di nove persone, ma una ragazza e un suo amico sono dovuti correre alla grande caserma degli allievi sottufficiali della Fi­nanza, dove è stato allestito l’obitorio. Han­no infatti recuperato sotto le macerie una loro amica e a loro è toccato riconoscerla. Fuori dalla caserma stazionano i capannel­li di parenti in attesa del riconoscimento del­le salme. Ma qui ha sede anche il Com, il coordinamento operativo misto della pro­tezione civile. Varcato l’immenso cortile. c’è la palestra dove vengono organizzati cir­ca 2300 volontari che hanno dato l’anima in questi tre giorni. Salvatore Rimmaudo, 35 anni, educatore romano è uno dei capi scout. Insieme ad altri quattro compagni cerca di assicurare il buon andamento delle opera­zioni dell’Agesci che sta impiegando 130 vo­lontari e arriverà a 150. «Siamo arrivati por­tando generi di prima necessità, ora faccia­mo animazione e ascolto. Ogni sera alle 23 teniamo una riunione per vedere cosa non va. Rimarremo a lungo, anche quando gli al­tri se ne andranno, abbiamo predisposto molti turni e campi estivi». Arrivano sette scout francesi dall’Alta Savoia e si mettono a disposizione. Squilla il cellulare di servi­zio, è Alessandro del gruppo di Perugia. Di­ce che ai bambini dei campi farebbero un gran bene le chitarre per affrontare il buio e la paura della terra che continua a tremare.