Ricerca. Così il sistema immunitario “dialoga e infiamma” il nostro cervello
Anche se in gran parte inesplorato, il cervello inizia a svelare informazioni vitali sul suo funzionamento
Linfociti T e sclerosi multipla
In questo contesto si colloca una ricerca dell’Università di Tor Vergata di Roma, appena pubblicata su Frontiers in Immunology, che riguarda il ruolo dei linfociti T, cellule immunitarie fondamentali, nell’induzione della sclerosi multipla. In questa malattia i linfociti T si attivano in maniera anomala, vanno cioè oltre la risposta autoimmune, e danneggiano i tessuti del sistema nervoso centrale.Il ruolo dei globuli bianchi nell’Alzheimer
Ma torniamo al sistema immunitario che, come detto, gioca un ruolo fondamentale anche nella malattia di Alzheimer. «Stiamo dimostrando che i globuli bianchi che circolano naturalmente nel sangue possono migrare nel cervello, posizionandosi vicino ai neuroni nelle zone importanti per la memoria – dichiara Constantin -. Questo fenomeno di migrazione ha un ruolo fondamentale nella malattia di Alzheimer e il suo blocco ha un effetto terapeutico, riducendo l’infiammazione e migliorando la memoria. Le nostre ricerche indicano pertanto che i globuli bianchi possono indurre un danno diretto alle cellule del cervello e contribuire allo sviluppo dei deficit cognitivi».Lo Spoke 7 indaga pure sulle forme di epilessia resistenti ai farmaci. Una ricerca pubblicata su Frontiers in Cellular Neuroscience lo scorso anno, si è focalizzata sul ruolo della ferroptosi, un nuovo tipo di morte cellulare programmata provocata dall’accumulo di ferro, nell’induzione di epilessia. «L’aumento della ferroptosi nel cervello è correlato a una disfunzione del sistema immunitario e caratterizzato da una reazione infiammatoria che potrebbe contribuire all’insorgenza dell’epilessia. È stato dimostrato che la ferroptosi è coinvolta in questa malattia, in particolare nelle forme resistenti ai farmaci e comprenderne il meccanismo apre nuove strade per il trattamento dell’epilessia», afferma Enrico Cherubini, direttore scientifico dell’European Brain Research Institute Rita Levi–Montalcini (Ebri) e coordinatore del laboratorio congiunto Ebri - Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sull’epilessia resistente ai farmaci nei bambini.Nuove terapie per i bimbi prematuri, i benefici della melatonia
Dedicato al tema “Neurosviluppo, cognizione e interazione sociale”, lo Spoke 1 di Mnesys, coordinato dall’Università di Parma e concentrato sui bimbi prematuri, aspira invece a identificare precocemente le malattie del neurosviluppo e a combatterle con terapie mirate. In particolare, l’Istituto Gaslini di Genova ha pubblicato nel 2023 su Developmental medicine and child neurology, uno studio condotto su 240 neonati (tra il 2012 e il 2017) seguiti fino all’età di 3 anni, sull’impatto di piccole emorragie intraventricolari e cerebellari che colpiscono i bambini prematuri, visibili soltanto grazie a raffinate indagini di Risonanza. L’identificazione immediata delle lesioni può condurre a una rapida e tempestiva riabilitazione dei bambini, come assicura la neuropsichiatra infantile dell’Università di Genova, Sara Uccella.
Mentre un altro studio del dicembre scorso, condotto sempre dall’Università di Parma, e pubblicato da Reviews in the Neurosciences, si è concentrato sull’identificazione di potenziali biomarcatori precoci di lesioni cerebrali a seguito di ipossia-ischemia. L’encefalopatia ipossico ischemica è una delle maggiori cause di morte e disabilità neurologica nei neonati. Si stima che colpisca 1,5 su 1.000 nati a termine e fino al 60% dei neonati prematuri di peso inferiore a 1.500 grammi. Ebbene, la ricerca ha evidenziato il ruolo della melatonia che, come spiega la professoressa di Pediatria dell’università emiliana, Serafina Perrone, «è in grado di intervenire nei processi di crescita e proliferazione cellulare a seguito di asfissia, fornendo una potenziale terapia aggiuntiva da utilizzare in combinazione con l’ipotermia terapeutica per ottenere migliori risultati neurologici a lungo termine>. E in una ricerca condotta ancora a Parma – e pubblicata su Antioxidants sulla base dei dati che hanno riguardato 23 neonati sottoposti a operazioni chirurgiche -, è stato rilevato che la stessa melatonina contribuisce a ridurre l’infiammazione legata allo stress ossidativo nei neonati. Questo studio pilota – osserva Perrone - ha verificato l’efficacia di una integrazione per via orale della melatonina nel ridurre i prodotti biologici dello stress ossidativo, e ha dimostrato il ruolo di questo ormone nella protezione dei neonati dalle conseguenze deleterie che lo stress ossidativo può causare, come dolore e alterazioni neurocomportamentali».