Il rapporto Meter. Gli orchi? Sempre più hi-tech. Pedofilia, fascia 8-12 a rischio
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Gli orchi sono sempre più in allerta e sono sempre più tecnologici. Le modalità di scambio di materiale pedopornografico stanno cambiando: i pedofili adesso prediligono le “cartelle compresse” condivise e vendute senza problemi sulle piattaforme di file hosting ed è «inquantificabile la mole di materiale» che gira. Come racconta il consueto Report annuale dell’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto (www.associazionemeter.org) presentato ieri.
Cartelle compresse. I numeri nel dettaglio mostrano come il 2022 abbia lanciato questa nuova modalità di scambio e compravendita, più comodo e conveniente, che è quasi triplicato: 1.734 “cartelle” nel 2022, 637 nel 2021.
Link. Aumentano sia i protocolli ufficiali inviati alla Polizia (1.766 nel 2022, 1.402 nel 2021), sia i link segnalati (15.660 nel 2022 e 14.679 nel 2021). Diminuiscono foto (da 3.479.052 ai 1.983.679) e video (da 1.029.170 a 921.382) rilevati, che però «non equivale ad una minore circolazione del materiale in rete». Perché ad esempio «i social vengono utilizzati meno rispetto agli anni precedenti, tant’è che il numero di segnalazioni si è dimezzato (da 316 del 2021 a 146 del 2022», annota Meter.
Vittime più a rischio. I link monitorati per fasce d’età indicano che la preferenza sia delle foto che dei video è per la fascia d’età 8/12, che totalizza 1.667.559 foto e 718.615 filmati. Segue la fascia 3/7 con 312.748 foto e 201.975 video e chiude quella 0/2 anni con 1.542 foto e 648 video, la cosiddetta infantofilia.
Pedomama. Continua a esserci ancora la presenza delle pedomama, donne che compiono abusi sessuali ai danni di minori e di filmati pedopornografici con la presenza di animali che compiono atti sessuali su minori, spesso questo materiale è prodotto artigianalmente in ambito familiare: «Inquietante la presenza degli abusi sui neonati e degli abusi di minori su minori».
Deep web. Dal 2012 a oggi sono stati individuati 47.801 link nel deep web e nel dark web, la faccia oscura della Rete, spazio libero in cui le associazioni a delinquere di tutto il mondo espandono i loro traffici, proprio per la capacità di offrire anonimato e privacy. Mentre - annota don Fortunato Di Noto - «fra lacunosi meandri legislativi, rimpalli di responsabilità e inefficacia della repressione, annegano bambini innocenti in ogni parte del mondo».
Privacy e indagini. Anche nel 2022 la pedopornografia online è stata un fenomeno planetario, si legge nel Report. America (12.771 link su 15.660 segnalazioni) ed Europa (1.299 link) «sono la culla della maggior parte delle aziende che gestiscono i server che permettono il funzionamento di siti e di piattaforme in cui si divulga il materiale pedopornografico». E proprio l’analisi delle geolocalizzazioni dei server «conferma che i Paesi dell’Occidente opulento risultano essere i “padroni del web”, fornitori di servizi accessibili da tutto il mondo, veloci, anonimi, in completa sicurezza». E le leggi sulla privacy, che custodiscono la riservatezza di tutti, «sono talvolta un ulteriore muro a difesa dei pedofili che possono agire indisturbati», spiega don Di Noto.
Vent’anni di violenze e abusi. Dal 2002 a oggi Meter ha inviato 66.856 protocolli ufficiali alla Polizia postale italiana e a varie Polizie internazionali con 219.571 link oggetto della segnalazione. Sempre dal 2002 a oggi sono 2.193 i casi seguiti dal Centro ascolto di Meter e 31.213 le richieste telefoniche. Oltre a 9.123 riferimenti a chat usate dai pedofili per condividere materiale pedopornografico.
Numeri inquantificabili. «Dati, numeri, grafici, seppur raccapriccianti, non ci permettono di fotografare la reale condizione degli abusi, soprattutto sessuali, nei confronti dei bambini vittime», chiarisce don Fortunato Di Noto- «Non è possibile quantificare l’ingente mole di materiale pedopornografico che naviga nella rete internet».
Mafie. E non ci sono soltanto le aggressioni singole, ma le criminalità organizzate che «lucrano sullo sfruttamento dei minori» che «vanno colpite a livello internazionale», ha detto Ivano Gabrielli, capo della Polizia potale italiana. Con lo «sforzo di costruire un terreno comune, per lo meno a livello europeo, che in qualche modo faccia massa critica e dall’Europa eventualmente poi si possa portare come modello per il mondo».